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STATO E MOVIMENTI COLLETTIVI NEI PROCESSI RIVOLUZIONARI

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Solo negli anni più recenti il fenomeno della rivoluzione ha trovato nelle scienze sociali statunitensi una significativa collocazione teorica nel repertorio dei processi che trasformano il sistema sociale. Nei primi due decenni del secondo dopoguerra lo struttural-funzionalismo e la teoria del pluralismo democratico, in virtò dell'influenza decisiva esercitata fin nella definizione dei paradigmi della scienza politica e della sociologia nord-americana, hanno orientato gran parte della teoria e della ricerca a sottolineare gli elementi di stabilità e di equilibrio del sistema e a trascurare quelli di conflitto. Uno spartiacque analitico ha, perciò, rimarcato una netta discontinuità tra la violenza collettiva (e la rivoluzione quale sua forma estrema) e il conflitto istituzionalizzato che rientra nel novero delle normali relazioni sociali. Sulla scorta di questa implicita, e tuttavia operante distinzione, si è arrivati ad ipotizzare una sostanziale similarità tra le cause che generano i movimenti rivoluzionari e i fenomeni di panico, le manie, le improvvise esplosioni di ostilità. Apparentato al sorgere di questo tipo di comportamenti collettivi, il problema della genesi della rivoluzione è stato spesso affrontato con un approccio socio-psicologico considerato come il più adeguato sul piano concettuale a comprendere fenomeni collegati a tensioni non sempre razionali. Anche nei casi in cui, con stretta aderenza al paradigma funzionalista, la rivoluzione è stata interpretata come una disfunzione multipla e simultanea dei sottosistemi sociali, l'insorgere del fenomeno è stato comunque ridimensionato a degenerazione patologica di sistemi che élites politiche competenti e flessibili possono prevenire con riforme ed iniziative adeguate ad evitare la diffusione della violenza politica e dello squilibrio sociale.

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Rassegne
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References

1 Skocpol, T., States and Social Revolution. A Comparative Analysis of France, Russia, and China, Cambridge, Cambridge University Press, 1979 (tr. it. Stati e rivoluzioni sociali. Un'analisi comparata di Francia, Russia e Cina, Bologna, Il Mulino, 1981); Trimberger, E., Revolution from Above: Military Bureaucrats and Development in Japan, Turkey, Egypt, and Peru, New Brunswick, Transaction Books, 1978; Paige, J., Agrarian Revolution: Social Movements and Export Agriculture in the Underdeveloped World, New York, Free Press, 1975; Migdal, J., Feasant, Politics and Revolution. Pressures Toward Political and Social Change in the Third World, Princeton, Princeton University Press, 1974; Popkin, S., The Rational Feasant. The Political Economy of Rural Society in Vietnam, Berkeley, University of California Press, 1979; ma si veda anche Tilly, C., From Mohilitation to Revolution, Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1978.Google Scholar

2 Un bilancio critico sui maggiori approcci al problema della modernizzazione è contenuto in Tilly, C., Western State-Making and Theories of Political Transformation , in Tilly, C. (a cura di), The Formation of National States in Western Europe, Princeton, Princeton University Press, 1975, pp. 631638 (in corso di pubblicazione presso Il Mulino, Bologna).Google Scholar

3 Per un'approfondita analisi sui metodi adottati nell'approccio storico-comparato, si veda Skocpol, T., Somers, M., The Uses of Comparative History in Macrosocial Inquiry , in «Comparative Studies in Society and History», XXII (1980), pp. 174197.CrossRefGoogle Scholar

4 Cfr. Eisenstadt, S., Revolution and the Transformation of Societies, New York, Free Press, 1978.Google Scholar

5 Cfr. Bendix, R., Kings or People, Power and the Mandate to Rule, Berkeley, University of California Press, 1978 (tr. it. Re o Popolo. Il potere e il mandato di governare, Milano, Feltrinelli, 1980).Google Scholar

6 Cfr. Moore, B. Jr., Social Origins of Dictatorship and Democracy. Lord and Peasant in the Making of the Modern World, Boston, Beacon Press, 1966 (tr. it. Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno, Torino, Einaudi, 1969).Google Scholar

7 Sull'argomento si veda Kemp, T., Teorie dell'imperialismo. Da Marx ad oggi, Torino, Einaudi, 1969.Google Scholar

8 Tracciato l'ambizioso progetto di ricostruire in quattro volumi la nascita e la diffusione su scala internazionale del capitalismo europeo, ipotizzando l'esistenza di un unico sistema sociale planetario che coinciderebbe con il sistema economico mondiale, Wallerstein è arrivato a metà dell'impresa avendo già pubblicato The Modern World System: Capitalist Agricolture and the Origins of European World-Economy in the Sixteenth Century, New York, Academic Press, 1974 (tr. it. Il sistema mondiale dell'economia moderna. L'agricoltura capitalistica e le origini dell'economia-mondo europea nel XVI secolo, Bologna, Il Mulino, 1978); e The Modern World System II. Mercantilism and the Consolidation of the European World Economy, 1600–1750, New York, Academic Press, 1980 (tr. it. Il sistema mondiale dell'economia moderna. Il mercantilismo e il consolidamento dell'economia-mondo europea. 1600–1750, Bologna, Il Mulino, 1982). Per i lettori meno pazienti Wallerstein sintetizza felicemente la sua posizione teorica nell'articolo The Rise and Future Demise of the World Capitalist System: Concepts for Comparative Analysis, in «Comparative Studies in Society and History», XVI (1974), pp. 387415.Google Scholar

9 Solo la Skocpol nel primo capitolo di Stati e rivoluzioni sociali espone con ampiezza d'argomentazioni la propria posizione sui presupposti e sulle cause della rivoluzione che poi cerca di dimostrare nei capitoli successivi con l'analisi secondaria delle fonti storiche relative a ciascun caso esaminato. La Trimberger, invece, appare soprattutto interessata a delineare l'identità, e descrivere l'operato, dei protagonisti della rivoluzione dall'alto. Perciò, il capitolo introduttivo del suo libro contiene un'ampia discussione sul concetto di autonomia relativa dello stato e poche note sulla necessità di adottare una prospettiva intersocietaria per affrontare efficacemente l'interpretazione delle rivoluzioni. Nel corso dell'analisi, comunque, la Trimberger manifesta una sostanziale identità di orientamento con la Skocpol su presupposti e cause della rivoluzione. Per comodità di esposizione abbiamo perciò assimilato, fin quando è stato possibile, le posizioni della prima a quelle della seconda, restituendo alle due autrici l'originalità del loro contributo teorico nella parte in cui esaminiamo le specifiche caratteristiche delle variabili che stanno alla base dei due modelli analitici.Google Scholar

10 Cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., p. 23.Google Scholar

11 Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 3.Google Scholar

12 I criteri analitici del metodo «macro-causale» sono attentamente esaminati in Skocpol, e Somers, , The Uses of Comparative History in Macrosocial Inquiry, cit., pp. 181187.Google Scholar

13 Ibidem, p. 182.Google Scholar

14 Ibidem, p. 195.Google Scholar

15 Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 43.Google Scholar

16 La congiuntura internazionale favorevole per il successo della rivoluzione Meiji del 1868 deriva, secondo la Trimberger, dalla priorità accordata in quel periodo dalle potenze occidentali allo sfruttamento coloniale della Cina; e, per la rivoluzione di Ataturk, dall'impreparazione militare dell'Occidente, dovuta alla smobilitazione seguita alla fine della Prima guerra mondiale (cfr. Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 43). Riguardo ai regimi militari di Nasser e di Velasco, essi iniziarono la loro politica riformatrice approfittando, il primo, del declino della potenza imperiale britannica e dell'inizio della guerra fredda, e, il secondo, della sconfitta statunitense nel Vietnam, delle preoccupazioni americane per l'instabilità politica del Medio oriente e della permanente rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica (cfr. ibidem, p. 155).Google Scholar

17 Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., p. 53.Google Scholar

18 È interessante notare che il recupero dell'autonomia della sfera politica è realizzato dalla Skocpol con l'innesto del nucleo scientifico di una tradizione di storia politica influenzata dalla dottrina della Ragione di Stato nel tronco di una concezione marxista della società. Questa tendenza storiografica è stata a lungo dimenticata o guardata con sospetto nel secondo dopoguerra per la posizione giustificatoria dell'espansionismo tedesco nei primi decenni del XX secolo assunta da alcuni dei suoi esponenti, tra i quali lo stesso Hintze. Sull'argomento si veda l'introduzione di Sergio Pistone a AA.VV., Politica di potenza e imperialismo, Milano, Angeli, 1980, curato dallo stesso Pistone. La traduzione dei saggi di Hintze di maggior interesse politologico è stata curata da Pierangelo Schiera nel libro Hintze, O., Stato e società, Bologna, Zanichelli, 1980.Google Scholar

19 Anderson, Perry, pur influenzato da Hintze nella sua analisi sulle caratteristiche delle comunità politiche feudali in Europa, rimane ancorato alla visione dell'attività statale come strumentale alla dinamica degli interessi economici dominanti. Così, per esempio, egli vede nella gigantesca proliferazione degli apparati e delle spese militari, nel periodo che precedette la formazione degli stati assoluti in Europa, il risultato dell'uso della guerra da parte della nobiltà feudale come il modo più rapido e razionale di incrementare attraverso l'espansione territoriale il ricavo del surplus agrario in un'economia a basso tasso di crescita (cfr. Anderson, P., Lo Stato assoluto, Milano, Mondadori, 1980, pp. 3132). Su Wallerstein rimandiamo alla nota 8.Google Scholar

20 Anche il caso della rivoluzione francese che parrebbe meno facilmente riconducibile a siffatta dimensione esplicativa viene reinterpretato dalla Skocpol in questa chiave con il sostegno di una autorevole documentazione storica. L'autocrazia dei Borbone, nei secoli XVII e XVIII, sarebbe rimasta prigioniera, secondo la Skocpol, della contraddizione irrisolta tra le proprie ambizioni militari e i mezzi adeguati a realizzarle. Le rovinose conseguenze della partecipazione francese alla guerra di successione austriaca (1740–1748) e a quella dei Sette anni (1756–1763), e, infine, il finanziamento della guerra contro l'Inghilterra a sostegno dell'indipendenza delle colonie americane (1774–1778), svuotarono le casse dello stato e imposero una politica di riforme fiscali che, dopo ripetuti tentativi falliti, la Corona si illuse di realizzare cedendo alla fatale convocazione degli Stati generali (cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., pp. 95123).Google Scholar

21 Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 4.Google Scholar

22 Cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., pp. 9295.Google Scholar

23 Cfr. Offe, C., Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, Etas Libri, 1977.Google Scholar

24 Cfr. Trimberger, E., State Power and Modes of Production: Implications of the Japanese Transition to Capitalism , in «The Insurgent Sociologist», VII (1977), pp. 8598.Google Scholar

25 Cfr. Nordlinger, E., Soldiers in Politics: Military Coups and Governments, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1977 (tr. it. I nuovi pretoriani. L'intervento dei militari in politica, Milano, Etas Libri, 1978).Google Scholar

26 In Giappone, secondo la Trimberger, l'élite burocratica scelse deliberatamente il compromesso politico con le classi superiori agrarie pre-capitalistiche rinunciando alla modernizzazione della struttura sociale delle campagne e allo sviluppo di un'agricoltura capitalistica che favorisse l'inserimento dei contadini nell'economia industriale del paese in qualità di produttori e consumatori. Lo sviluppo economico del Giappone rimase perciò permanentemente caratterizzato dalla contraddizione tra la necessità di accumulazione interna di capitale — realizzata con una severissima politica fiscale sulla produzione agricola nonostante questa non raggiungesse mai livelli comparabili con gli standard occidentali — e quella di poter contare su un mercato nazionale capace di sostenere lo sviluppo della produzione interna. Questa contraddizione venne risolta dai burocrati Meiji con un crescente coinvolgimento del paese nel mercato internazionale che fu alla base del militarismo nipponico e delle sue avventure militari (cfr. Trimberger, , Revolution from Above, cit., pp. 118124).Google Scholar

27 Cfr. Eckstein, S., The Impact of Revolution: A Comparative Analysis of Mexico and Bolivia, Beverly Hills, Sage Publications, 1976.Google Scholar

28 Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 10.Google Scholar

29 Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., p. 473.Google Scholar

30 Si consideri a tal proposito il seguente passo di Hintze sulla nascita dello stato moderno che la Skocpol a buon diritto potrebbe citare a sostegno della sua tesi sul nesso esistente tra l'azione di una stessa influenza esterna e risultati simili nelle tre rivoluzioni: «È una regola storica (…) che la misura della libertà in un paese è inversamente proporzionale alla pressione politico-militare che grava sui suoi confini. La necessità geo-politica, che aveva fatto sorgere il militarismo negli Stati del continente europeo, si confermò anche per la Francia rivoluzionaria, dopo che essa si fu impegnata nella guerra contro i re … Il Terrore del 1793, che fu una conseguenza dell'invasione nemica, richiamò in vita l'obbligo militare generale, che costituì, dapprima, nella forma della coscrizione napoleonica, poi nella forma raffinata prussiana, che non ammetteva più nessuna deroga, la vera colonna portante del nuovo Stato nazionale sul continente e fondò un militarismo di natura molto più dura e incisiva di quello proprio dell'antica Europa. L'imperialismo nazionalistico rilevò quello dinastico» (Hintze, , Stato e società, cit., p. 79).Google Scholar

31 Tra i lavori più significativi che, pur da diverse prospettive di ricerca e casi storici esaminati, sono riconducibili a questa comune interpretazione della comunità contadina, si possono citare: Polanyi, K., La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974; Hobsbawm, E., Primitive Rebels, New York, Norton, 1965 (tr. it. I banditi. Il banditismo sociale nell'età moderna, Torino, Einaudi, 1971); Wolf, E., Peasant Wars of the Twentieth Century, New York, Harper and Row, 1969 (tr. it. Guerre contadine del XX secolo, Milano, Ili, 1971); Migdal, , Peasant, Politics and Revolution, cit.; Scott, J., The Moral Economy of the Peasant. Rebellion and Subsistence in Southeast Asia, New Heaven, Yale University Press, 1976 (tr. it. I contadini tra sopravvivenza e rivolta. L'economia morale dei contadini. Rivolta e sussistenza nel Sud-est asiatico, Napoli, Liguori, 1982).Google Scholar

32 Elementi di questa interpretazione conflittuale della natura delle relazioni sociali nella comunità rurale tradizionale si trovano sparsi in molti lavori diversi per ambito disciplinare e orientamento teorico. Samuel Popkin è uno dei pochi autori a fornirne una versione sistematica nella parte introduttiva del suo libro, già citato, The Rational Peasant. Google Scholar

33 Istruttive, a riguardo, sono le sezioni introduttive di questi lavori nelle quali gli autori spiegano la genesi del loro interesse per l'argomento trattato e si riconoscono in debito con Eric Wolf che, in un momento particolarmente drammatico della storia recente degli Stati Uniti, ha sensibilmente influito sulle scelte culturali di una parte della nuova generazione di politologi e scienziati sociali comparativisti, caratterizzando in modo nuovo rispetto al passato gli intenti delle sue ricerche sui movimenti rurali del Terzo mondo. «Particolarmente isolata dagli altri continenti e dal loro travaglio a causa della sua posizione geografica e della sua straordinaria prosperità — scrive Wolf — l'America del XX secolo si trova mal preparata a comprendere gli sconvolgimenti che scuotono oggi le nazioni povere del mondo. E l'ignoranza porta al disastro. Il Vietnam è divenuto un cimitero, perché gli americani conoscevano ben poco, o non si curavano abbastanza, di quella parte poco conosciuta del sud-est asiatico. Le strade verso il delta del Mekong, Tay Ninh, Khe San sono lastricate dai rottami di false premesse, di intuizioni e valutazioni errate. È quindi importante per l'America utilizzare tutte le sue conoscenze utili, e la sua considerevole capacità di passione e di compassione, per comprendere il mondo in cui è diventata così estranea» (cfr. Wolf, , Guerre contadine del XX secolo, cit., pp. 1112).Google Scholar

34 Il materiale di base utilizzato è costituito dai risultati di cinquantuno ricerche antropologiche ed etnografiche pubblicate tra il 1930 e il 1971 su villaggi dell'Asia e dell'America Latina, e l'esperienza dell'autore acquisita con la permanenza in due villaggi, uno in Messico e l'altro in India, nel corso di due successive estati.Google Scholar

35 Cfr. Migdal, , Peasant, Politics and Revolution, cit., p. 12.Google Scholar

36 Ibidem, p. 22.Google Scholar

37 Ibidem, Introduzione.Google Scholar

38 Ibidem, Cap. IX.Google Scholar

39 Cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., pp. 266267.Google Scholar

40 Ibidem, Cap. III.Google Scholar

41 Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., p. 206.Google Scholar

42 Paige, , Agrarian Revolution, cit., p. 31.Google Scholar

43 Il libro di Popkin, , The Rational Peasant, cit., ha per oggetto l'analisi degli effetti prodotti sulle comunità contadine vietnamite dalla instaurazione del regime coloniale francese all'inizio del XX secolo, e per obiettivo quello di dimostrare che le trasformazioni derivate dall'introduzione di una organizzazione burocratica centralizzata e dell'economia capitalistica contenevano i germi della rivoluzione del 1945 e della successiva guerra di «liberazione nazionale». Il lavoro è basato su fonti storiche ed economiche e su una ricerca sul campo compiuta in Vietnam tra il 1966 e il 1970.Google Scholar

44 Popkin, , The Rational Peasant, cit., p. 4.Google Scholar

45 Ibidem, p. 22.Google Scholar

46 Ibidem, pp. 7980.Google Scholar

47 Ibidem, p. 23.Google Scholar

48 Ibidem, p. 33.Google Scholar

49 Ibidem, p. 34.Google Scholar

50 Paige, , Agrarian Revolution, cit., p. 10.Google Scholar

51 Il campo storico dell'indagine di Paige è quello dei paesi del Terzo mondo nel periodo dal 1948 al 1970 nei settori agricoli d'esportazione moltiplicatisi con l'espansione del mercato mondiale dei prodotti agricoli. Queste enclaves commerciali all'interno di economie di sussistenza avrebbero prodotto, secondo Paige, economie dualistiche e nuove strutture di dominio, risultato queste ultime della combinazione tra le principali fonti di reddito dei lavoratori rurali e delle élites economiche.Google Scholar

52 Il test empirico attraverso il quale Paige verifica le sue ipotesi è la comparazione statistica di 136 settori di esportazione in settanta paesi sottosviluppati, lealizzato con fonti giornalistiche secondarie, e lo studio in profondità dei movimenti rurali del Perù, dell'Angola e del Vietnam con l'utilizzo di fonti giornalistiche primarie. Nell'analisi a livello mondiale l'obiettivo è quello di dimostrare che la correlazione tra gli esempi di protesta rurale con i tipi di organizzazione della produzione agricola conferma la teoria, e la tipologia copre tutte le forme di movimenti sociali rurali che si riscontrano nel periodo storico analizzato. Attraverso i case studies, l'analisi si sposta dalla tipologia alla verifica del nesso causale che la teoria presume esista tra fonti di reddito, comportamento economico e comportamento politico. Nei tre paesi considerati vengono esaminate le possibili forme di conflitto rurale illustrate nella parte teorica. Il Perù fornisce esempi di rivolte agrarie nel settore delle aziende commerciali che producono caffè e di movimenti riformisti nelle piantagioni di zucchero; nell'Angola imprese agricole che impiegano bracciantato tradizionale favoriscono la nascita di un movimento nazionalista rivoluzionario; con il caso del Vietnam del Sud, infine, l'autore intende dimostrare che il presupposto della rivoluzione socialista è il sistema agricolo a mezzadria praticato in lotti decentrati nella coltivazione del riso — distinto dalla mezzadria centralizzata praticata nella coltivazione del cotone, che favorisce solo la nascita di movimenti di rivolta.Google Scholar

53 Paige, , Agrarian Revolution, cit., p. 101.Google Scholar

54 Cfr. Obershall, A., Theories of Social Conflict , in «Annual Review of Sociology», IV (1978), p. 297.Google Scholar

55 Ricostruendo la situazione delle campagne nei mesi precedenti l'ottobre del 1917, Trotsky ricorda, tra l'altro, l'influenza che su di esse esercitò l'atmosfera politica delle città e il collasso dell'esercito zarista: «Un lavoro enormemente più importante era svolto dalle centinaia di migliaia e dai milioni di soldati che disertavano il fronte e le guarnigioni delle retrovie, continuando ad avere nelle orecchie le decise parole d'ordine dei discorsi dei comizi. Quelli che al fronte se ne stavano silenziosi, a casa loro, nei villaggi, divenivano eloquenti. E la gente avida di ascoltare non mancava» (Trotsky, L., Storia della rivoluzione russa, Milano, Mondadori, 1969, vol. II, p. 910). Considerazioni analoghe vengono da un osservatore meno partecipe, cfr. Carr, E., A History of Soviet Russia. The Bolschevik Revolution 1917–1923, London, Macmillan, 1960 (tr. it. La rivoluzione bolscevica 1917–1923, Torino, Einaudi, 1964).Google Scholar

56 Cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., Cap. III.Google Scholar

57 Ibidem, p. 278.Google Scholar

58 Ibidem, p. 436.Google Scholar

59 Cfr. Lasswell, H., Power and Personality, New York, Viking, 1962 (tr. it. Potere, politica e personalità, Torino, Utet, 1975); e, Wolfstein, E., Revolutionary Personality: Lenin, Trotsky, Gandhi, Princeton, Princeton University Press, 1971.Google Scholar

60 Cfr. Downton, J., Rebel Leadership. Commitment and Carisma in the Revolutionary Process, New York, Free Press, 1973; e Cavalli, L., Il capo carismatico. Per una sociologia weberiana della leadership, Bologna, Il Mulino, 1982.Google Scholar

61 In relazione al primo aspetto, cfr. Davies, J., Human Nature in Politics: the Dynamics of Political Behavior, New York, Wiley and Sons, 1963; North, R., De Sola Pool, I., Kuomintang and Chinese Communists Elites , in Lasswell, H., Lerner, D. (a cura di), World Revolutionary Elites: Studies in Coercive Ideological Movements, Cambridge, The MIT Press, 1965, pp. 376379; Lane, D., The Roots of Russian Communism: A Social and Historical Study of Russian Social-Democracy, 1858–1907, New York, Humanities Press, 1969. Per la provenienza sociale delle élites rivoluzionarie vietnamite, si veda: Wolf, , Guerre contadine del XX secolo, cit., cap. IV, pp. 223–224. Riguardo al secondo aspetto cfr. Pellicani, L., I rivoluzionari di professione. Teoria e prassi dello gnosticismo moderno, Firenze, Vallecchi, 1975.Google Scholar

62 Cfr. Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., pp. 280–287; e Trimberger, , Revolution from Above, cit., pp. 9296.Google Scholar

63 Skocpol, , Stati e rivoluzioni sociali, cit., p. 289. Sull'importanza dell'ideologia come strumento di manipolazione e controllo delle masse si veda Sartori, G., Politics, Ideology, and Belief Systems, in «American Political Science Review», LXIII (1969), pp. 398–411.Google Scholar

64 Trimberger, , Revolution from Above, cit., p. 90.Google Scholar

65 Popkin, , The Rational Peasant, cit., pp. 2425.Google Scholar

66 Cfr. Migdal, , Paesant, Politics and Revolution, cit., cap. IX; e Popkin, , The Rational Peasant, cit., p. 262.Google Scholar

67 Olson, M., The Logic of Collective Action, Public Goods and the Theory of Groups, Cambridge, Harvard University Press, 1965, p. 15.Google Scholar

68 Ibidem, p. 151.Google Scholar

69 Migdal, , Paesant, Politics and Revolution, cit., p. 261.Google Scholar

70 Gli studiosi che si riconoscono in questo approccio partono dalla constatazione che l'esistenza di interessi conflittuali tra gruppi in competizione non è di per se stessa sufficiente a provocare l'azione collettiva. Tra l'emergere di una situazione conflittuale e la mobilitazione finalizzata a risolverla a proprio vantaggio, i gruppi interessati operano un rigido calcolo razionale dei costi e dei benefici connessi all'azione da intraprendere e si risolvono a porla in atto solo quando la somma delle risorse materiali e non materiali appare adeguata a fronteggiare quella che può mettere in campo l'avversario. Tra gli autori che pur utilizzando terminologie diverse per qualificare i loro lavori — resource management, solidarity theory, resource mobilitation — si richiamano a questo approccio, ricordiamo: Gamson, W., The Strategy of Social Protest, Homeward, Dorsey Press, 1975; Zald, M., McCarthy, G. (a cura di), The Dynamics of Social Movements, Cambridge, Winthrop Pub., 1979; Obershall, A., Social Conflict and Social Movements, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1973; e Tilly, , From Mobilization to Revolution, cit.Google Scholar

71 Per la critica alla teoria olsoniana dell'azione collettiva, si veda Fireman, B., Gamson, W., Utilitarian Logic in the Resource Mobilitation Perspective , in Zald, M., McCarthy, J., The Dynamics of Social Movements, cit., pp. 844.Google Scholar

72 Cfr. Tilly, , From Mobilization to Revolution, cit., p. 82.Google Scholar

73 Citato in Shanin, T., Peasantry as a Political Factor , in Peasants and Peasant Societies, a cura di Shanin, T., New York, Penguin, p. 239.Google Scholar