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LA DIFESA EUROPEA: PROBLEMI E PROSPETTIVE

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

Umberto Gori*
Affiliation:
Il saggio è stato consegnato in redazione nel marzo ‘88. In una materia attualmente in continua evoluzione non è da escludere che importanti mutamenti avvengano tra la stesura del saggio e la data della sua pubblicazione.
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Introduzione

Dopo oltre un quarantennio di «politica dello struzzo», o — al massimo — di tentativi falliti, gli Stati dell'Europa occidentale cominciano dolorosamente a rendersi conto che non è più possibile continuare a rimuovere dall'agenda delle priorità il problema della sicurezza e della difesa.

Type
Dibattito
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References

1 Si veda, ad es., su questo punto: Juri P. Davydov (dell'Accademia delle Scienze dell'URSS), Can a Nuclear War be limited to Europe? , in Cotta Ramusino, P. e Lenci, F. (a cura di), Le armi nucleari e l'Europa, Scientia — U.S.P.I.D. —, vol. 120, 1985, p. 53 ss. Sulla perdita di credibilità della flexible response si veda, fra gli altri, Ilari, V., Verso il superamento della risposta flessibile?, in «Strategia Globale», 1, 1984, p. 59 ss.Google Scholar

2 Secondo un recente sondaggio GALLUP, la maggioranza degli americani protesta contro la spesa di oltre 100 miliardi di dollari l'anno dovuta allo stazionamento in Europa delle forze armate USA. I mass media statunitensi non hanno mancato di ricordare ai contribuenti come il bilancio militare degli alleati europei sia, in media, di gran lunga inferiore a quello americano. Quest'ultimo risulta corrispondere al 6,9% del PIL, contro il 5,1 in Gran Bretagna, il 3,1 in Germania e il 2,7 in Italia.Google Scholar

3 Amplius , Gori, U., Superpowers and Arms Negotiations: Political Climates and Optimal Strategy , in Avenhaus, R., Huber, R.K. e Kettelle, J.D. (a cura di), Modelling and Analysis in Arms Control , NATO ASI Series, Vol. F26, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag, 1986, p. 337 ss.Google Scholar

4 Altre fonti consultate danno cifre leggermente diverse, ma il rapporto è sempre di circa 4 a 1.Google Scholar

5 Dal discorso pronunciato nel 1952 ad una joint session del Congresso USA.Google Scholar

6 La sottolineatura è nostra.Google Scholar

7 Cfr. «Le Monde», 5 marzo 1988, p. 5. Vale la pena qui di riportare quanto detto dal Gen. Galvin in una intervista al «Time» (14 marzo 1988) a proposito delle intenzioni sovietiche: «I am watching Gorbachov very carefully. The best indicator, however, is what the Soviet military is doing. They acquiesced in the removal of the SS-20s and other missiles under INF. But for every other indicator we look at — procurement, R. and D., modernization, deployments — it's a business as usual. In fact, business is booming». Vale per altro la pena di ricordare che il Gen. Galvin ha negato che costituisca violazione dell'accordo INF lo spostamento dei sommergibili sovietici della classe «Yankee», dotati di 16 missili nucleari ciascuno, da acque vicine alle coste USA ad acque più vicine al continente europeo. Gli SSM-6 imbarcati hanno una gittata — più o meno — di 2.800 km.Google Scholar

8 Si veda anche Alliance Malaise , in «Time», 14 marzo 1988, p. 6.Google Scholar

9 Ibidem , pp. 89.Google Scholar

10 Cfr. Can Europe stand on its own feet? , in «Newsweek», 7 dicembre 1987, p. 12. A proposito dell'uso delle armi nucleari tattiche, il settimanale USA afferma che «NATO's own studies demonstrate that in an equal exchange of battlefield nuclear weapons, the West would lose the war faster than by conventional means» (p. 13).Google Scholar

11 Per altri dati, sempre nella stessa direzione, cfr. Baylis, J., NATO Strategy: the case for a new strategic concept , in «International Affairs», 1, Winter 1987/8, p. 51.Google Scholar

12 Altre misure, riguardanti l'ammunizionamento, le parti di ricambio e i depositi di veicoli, darebbero ulteriori importanti risultati.Google Scholar

13 Cfr. Baylis, J., op. cit. , p. 43 ss.Google Scholar

14 Op. cit. , p. 44.Google Scholar

15 Secondo Halperin, citato da Baylis, (op. cit., p. 45), «NATO doctrine is that we will fight with conventional weapons until we are loosing, then we will fight with tactical nuclear weapons until we are loosing, and then we will blow up the world».Google Scholar

16 Si veda Mc Bundy, G., Kennan, G. F., Mc Namara, R.S. e Smith, G., Nuclear Weapons and Atlantic Alliance , in «Foreing Affairs», Spring 1982.Google Scholar

17 Cfr. Neild, R., In place of the pursuit of Balance and Negotiations: the case for a new Strategy , in Ramusino, Cotta e Lenci, , op. cit. , p. 101 ss.Google Scholar

18 Amplius in ibidem , p. 102 ss.Google Scholar

19 Ibidem , p. 104. Sul punto degli atti «unilaterali», si veda anche Gori, , op. cit., p. 343. Sul fatto che atti unilaterali (unilateral moves) abbiano in realtà determinato la maggior parte dei progressi dei negoziati sul controllo degli armamenti, cfr. , Huber, R.K., On Strategic Stability in Europe without nuclear Weapons , in Avenhaus, R., et Alii, op. cit., p. 217, nota 2.Google Scholar

20 Si veda su questo punto, von Müller, A.A.C., Structural Stability at the Central Front in Ramusino, Cotta e Lenci, , op. cit. , p. 109 ss. In questo interessante saggio, oltre a dimostrare che la simmetria «non è affatto una garanzia di stabilità», si teorizza come la stabilità venga creata da «strutture dissipative» (il corsivo è mio). Sulle strutture dissipative si veda anche Gori, U., Caos, ordine, complessità nelle relazioni internazionali , in Niccolini, M. (a cura di), Ordine e disordine, Bologna, Documentazione Scientifica Editrice, 1987, p. 377 ss. Sulla questione della «parità» che non è «garanzia di sicurezza» si veda Calogero, F., Il controllo degli armamenti e l'Europa , in Ramusino, Cotta e Lenci, op. cit., p. 181 ss. e, in particolare, p. 182.Google Scholar

21 Cfr ad esempio, Millar, T.B., The East-West Strategic Balance , London, G. Allen & Unwin, 1983, p. 199. Si veda in particolare la p. 68 e il Capitolo The Military Equation in the European Theatre (pp. 58-75).Google Scholar

22 Si veda — fra i molti — Millar, , op. cit., Tavole 9 e 10, pp. 7073 e Baylis, op. cit., p. 51.Google Scholar

23 Ovviamente, c'è chi insiste — magari comprensibilmente — per denunciare lo squilibrio. Così ad es. Huber, R.K., dell'Università della Bundeswehr a Monaco di Baviera, afferma che «l'opinione pubblica occidentale (…) è ignara della vera grandezza dello squilibrio convenzionale tra NATO e Patto di Varsavia» op. cit., p. 215. Anche per questo A., peraltro, una delle opzioni aperte alla NATO è quella della defensive Verteidigung (difesa difensiva) proposta da Afheldt nel 1983 (ibidem, p. 216). In particolare Huber sostiene che si dovrebbe andare verso una situazione di «difesa reattiva» e di capacità difensiva graduale («gradual defensivity»). Chi scrive non è però d'accordo che «A conventional deep attack capability (e.g. FOFA) for the destruction of high value military targets at some distance would not be incompatible with defensivity. On the contrary, it might be a necessary prerequisite for a successful defense by reactive (land) forces since it would provide a non nuclear means to keep the attacker/defender force ratio within manageable bounds. Only in conjunction with all «active» land forces capable of mounting large scale invasions must deep attack systems be considered as offensive» (p. 217, nota 3). Il motivo di tale dissenso apparirà chiaro in seguito, quando esporremo la tesi della provocatorietà delle armi e strategie di questo tipo nella percezione dello Stato «bersaglio».Google Scholar

24 Huber, op. cit. , p. 236.Google Scholar

25 Sulla disponibilità a rinunciare alle «asimmetrie» esistenti, si veda anche l'articolo di Primakov, E.M., Direttore dell'Istituto dell'Economia Mondiale e delle Relazioni Internazionali dell'Accademia delle Scienze dell'URSS, Disarmament: From Negotiations to concrete Steps , in «Studia Diplomatica», n. 6, 1987, p. 637.Google Scholar

26 «La Comunità Internazionale» , vol. XLII, n. 3, 1987, pp. 311335.Google Scholar

27 Cfr. Il nuovo corso di Gorbaciov e il sistema della Nazioni Unite , in «La Comunità Intemazionale», cit., p. 309.Google Scholar

28 Ibidem. Si veda anche, sul punto della polemica circa il finanziamento delle operazioni di pace e su quello del Comitato di Stato Maggiore previsto dallo Statuto delle N.U., Gori, U., L'organizzazione internazionale della S.d.N. alle N.U. , Padova, CEDAM, 1968, rispettivamente a p. 130 ss. e p. 102 e passim. Google Scholar

29 Gorbaciov, M., Realtà e garanzie di una pace sicura , cit., p. 321.Google Scholar

30 È singolare — e comunque è forse più di un caso — che l'Enciclica Sollecitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II (febbraio 1988) insista sullo stesso concetto dell'interdipendenza che «esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia ad ogni forma di imperialismo economico, militare o politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in collaborazione». Si veda il testo dell'Enciclica in «L'Osservatore Romano» , p. 42, 20 febbraio 1988, Supplemento.Google Scholar

31 Corsivo nostro. Il testo prosegue: «Noi riteniamo che neppure il 5 per cento vada conservato. In tal caso ci sarà una stabilità qualitativamente diversa».Google Scholar

32 Si veda Fontaine, A., Entre l'empire et la tribu , in «Le Monde», 5 marzo 1988, p. 1. In particolare, sulla crisi dell'URSS, si veda P. Ostellino, Gorbaciov e la crisi del sistema sovietico, in «Affari Esteri», n. 77, 1988, p. 34 ss. Secondo Ostellino, che ha una lunga esperienza diretta dell'URSS, quest'ultima ha bisogno di molti anni di distensione e di cooperazione con il mondo occidentale per cercare di uscire dalla crisi strutturale che minaccia di travolgere, con il sistema economico, anche il suo stesso sistema politico» (p. 43). Sulle prospettive della riconciliazione USA-URSS, si veda Nordlinger, E.A., Verso una riconciliazione sovietico-americana, in «Relazioni Internazionali», Milano, ISPI, gennaio 1988, p. 6 ss.Google Scholar

33 I corsivi sono nostri.Google Scholar

34 Si veda ad es. il Convegno organizzato a Bruxelles nel novembre 1987, dal Comitato d'Azione «Altiero Spinelli» e, in particolare, dal Commissario CEE Carlo Ripa di Meana.Google Scholar

35 Sulle possibili varianti di un neutralismo europeo, si veda Seppälä, J., Finnish Neutrality and European Neutralism , paper presentato all'ECPR Joint Session of Workshops «West European Security in an Environment of Change», Rimini, 5-10 aprile 1988.Google Scholar

36 Si veda però quanto si dirà infra sulla possibile utilizzazione dell'U.E.O. prevista dall'Atto Unico Europeo (art. 30, 6 c.).Google Scholar

37 «La Repubblica», 28 ottobre 1987, p. 13.Google Scholar

38 Ibidem. Google Scholar

39 Cfr. però anche quanto affermato dall'ex-Cancelliere tedesco Schmidt: «I miei frequenti contatti con Breznev e con i marescialli sovietici Ogarkov e Ustinov mi hanno convinto che un impegno unificato delle due storiche potenze terrestri europee, la Germania e la Francia, sarebbe già di per sé un forte deterrente convenzionale contro un'aggressione sovietica», («Il Sole − 24 Ore», 16 ottobre 1987, p. 4). Si veda anche sugli aspetti per certi versi ambigui — ma anche sulle potenzialità — di altre iniziative comuni franco-tedesche, Vanniccini, V., Nascono i Consigli comuni su sicurezza e economia — Due intese europee per Kohl e Mitterand , in «La Repubblica», 22 gennaio 1988, p. 12.Google Scholar

40 «Il Sole − 24 Ore», cit.Google Scholar

41 Cfr. «Il Corriere della Sera», 26 ottobre 1987, p. 4.Google Scholar

42 A riprova di quanto si sostiene si veda Ostellino, P. (a cura di), Colloquio con il Ministro degli Esteri Giulio Andreotti — L'Italia nella politica intemazionale , in «Relazioni Internazionali», gennaio 1988, p. 34. Alla domanda: «Quale ruolo politico e strategico attribuisce allora all'Italia nell'auspicabile costruzione di una difesa più europea dell'Europa? la risposta del titolare della Farnesina è: «È un problema aperto che va elaborato e discusso in modo molto severo e approfondito, scegliendo anche il momento opportuno per enfatizzarlo all'estero. Nessuno deve vederci una relazione agli accordi nucleari USA-URSS (o, meglio, NATO-Patto di Varsavia) e non bisogna incoraggiare disimpegni americani». In altre parole, il Ministro non risponde alla domanda, oppure risponde che un ruolo non esiste. Tertium non datur. Più convincente, per la verità, è l'articolo di Andreotti, G. La sicurezza dell'Europa, in «Affari Esteri», n. 77, gennaio 1988, pp. 3-11, dove — fra l'altro — si sostiene la necessità di «un modo nuovo di concepire la sicurezza fondata sempre meno sugli arsenali militari e sempre più su un intreccio di comuni interessi e convergenze nel campo politico, economico e culturale … Per questo, è anche nell'interesse della sicurezza dell'Europa favorire l'evoluzione verso una società sovietica più aperta e più libera, capace di una diversa condotta internazionale, magari anche a costo di un clima di accresciuta concorrenza con l'Occidente».Google Scholar

43 Valli, Così B., La coppia in fuga , in «La Repubblica», 15-16 novembre 1987, p. 10.Google Scholar

44 Così, nella sua bella tesi di Master , Sipala, Laura, Europe in Search for Security , School of Advanced International Studies, Bologna Center, 1987, p. 67 (la traduzione in italiano è mia).Google Scholar

45 Cfr. Santoro, C.M., Dove va la politica estera italiana? Cinque ipotesi su una media potenza , in «Relazioni Internazionali» cit. , p. 93. In questo interessante saggio l'A. afferma che «l'attivismo della politica italiana verso il Sud del mondo risulta ormai essere quasi il doppio (63,3%) rispetto a quello verso il Nord (CEE e NATO) che raggiunge solo il 33,9%». Ciò potrebbe contribuire a spiegare la tesi da noi sostenuta della carenza progettuale. Ancora una riprova della predetta tesi potrebbe essere la seguente osservazione di L. Caligaris, Politica della Difesa e dibattito parlamentare, in «Relazioni Internazionali», cit., p. 104: «… il Partito comunista, diversamente dagli altri partiti, assegna alle Commissioni parlamentari della Difesa e degli esteri suoi esponenti di spicco che esercitano una egemonia intellettuale sia all'interno delle Commissioni sia in aula. Questo peso culturale del Partito comunista indebolisce inevitabilmente, nella trattazione dei problemi della sicurezza, la posizione del governo e dei partiti che lo compongono e contribuisce all'incertezza che accompagna ogni scelta politico-strategica». E si vedano altre significative considerazioni dello stesso A. Ad esempio questa (p. 110): «La politica di sicurezza italiana e il relativo processo decisionale non sono maturati in parallelo con il crescere in importanza, difficoltà e numero degli impegni politico-militari». E ancora: «Le motivazioni di politica interna fanno quasi sempre aggio sulle scelte politico-strategiche e. il ricorso costante alla contrattazione politico-burocratica penalizza in affidabilità e tempestività il processo decisionale». Infine (p. 111): «Maturare nel campo della sicurezza è indispensabile per una nazione politicamente matura. Questa è la sfida per la classe politica».Google Scholar

46 Per quanto riguarda le condizioni tecnologiche e industriali della sicurezza, si veda infra. È noto che il Titolo III dell'Atto Unico è ciò che rimane dell'ipotesi di «Trattato su una politica estera e di sicurezza comune» elaborata al Vertice di Milano 1985.Google Scholar

47 Sipala, , op. cit. , p. 38 (la traduzione è mia).Google Scholar

48 Ibidem. Google Scholar

49 Sulle origini e sviluppi della CPE, cfr. Jannuzzi, G., Europa: Politica estera e di Sicurezza , in «La Comunità Internazionale», cit., pp. 324335. Giovanni Jannuzzi è il Segretario Generale della Cooperazione Politica Europea.Google Scholar

50 Come sostiene Jannuzzi, ( op. cit. , p. 333), «Si attenuerebbero in questa ipotesi le differenze tra Paesi nucleari e non-nucleari europei e, parallelamente a una maggiore responsabilità europea per la difesa convenzionale, si imporrebbe nei fatti l'esigenza di una cooperazione per far fronte agli oneri che essa comporta».Google Scholar

51 Queste idee-base di Anders Boserup sono riportate da Dean, J., Alternative Defense: Answer to NATO's Central Front Problems? , in «International Affairs», cit., p. 63. Secondo questo A. (p. 64), «è possibile distinguere tra configurazione della forza offensiva — che sottolinea mobilitá e raggio d'azione — e difensiva — che sottolinea potenza di fuoco con limitata mobilità e raggio d'azione» (Il corsivo è mio).Google Scholar

52 Valki, L., Risposta flessibile e Difesa difensiva , in Ramusino, Cotta e Lenci, , op. cit. , p. 175. Come detto nel testo, qui non ci si riferisce alla «difesa civile non-violenta» (Civilian-based defense) di Gene Sharp. Quest'ultima, in realtà, si configura come una difesa basata su un certo comportamento della popolazione civile e delle istituzioni. Tale comportamento, che si estrinseca in atti di omissione, di commissione (fare, cioè, ciò che è insolito e/o proibito) o in atti misti, ha in primo luogo una funzione deterrente e, nel caso in cui questa fallisca, la funzione di rendere irraggiungibile l'ottenimento dei fini da parte del conquistatore attraverso la ingovernabilità più totale del Paese occupato e la destabilizzazione psicologica portata dentro le stesse fila dell'esercito occupante. In altre parole, tale comportamento può definirsi non-violento, solo se per violenza si intende — restrittivamente — la violenza fisica, la violenza bellica. Il progetto di passare da un certo sistema di armamenti (es. convenzionale o nucleare) ad un altro fondamentalmente diverso (es. difesa civile non-violenta) è chiamato «transarmo» (transarmament). Durante tale processo è prevista, in proporzioni differenziate, la coesistenza di più sistemi difensivi. Tale fase, o processo, è fondamentale agli effetti della fattibilità del tipo di difesa alternativa proposto da Sharp. Pur aspirando all'alternanza ed alla sostituzione totale, il sistema previsto è immaginato infatti da tutti come possibile ed anzi come molto utile, alla condizione che funzioni in parallelo con i sistemi di difesa tradizionali (difensivi). Il punto di arrivo teorizzato come ideale è però quello in cui la difesa civile non-violenta sostituisce del tutto gli armamenti convenzionali e nucleari di cui oggi dispongono l'Europa e la NATO. Si veda Gori, U., Proposta per un'«Europa inconquistabile», in «Industria Toscana», 8 maggio 1987, p. 1 e 8. Un numero unico sulle teorie di Gene Sharp sarà pubblicato a cura della Rivista di peace research «Progetto Pace» nel corso di quest'anno.Google Scholar

53 Il corsivo è mio.Google Scholar

54 Cfr. Dean, , op. cit. , p. 80. Sul dibattito in Italia si veda: Bozzo, L. e Delli Zotti, G. (Quaderno n. 87-2 dell'ISIG), Defense Alternative Models, Galtung's Proposals and the Italian Debate, Rapporto presentato alle Joint Sessions dell'ECPR (Amsterdam, 10-15 aprile 1987) e poi pubblicato con il titolo Un modello alternativo di difesa? Il dibattito italiano e le proposte di Galtung, in «Progetto Pace», 1, 1987, pp. 37-69.Google Scholar

55 Cfr. Pistone, S., La corsa agli armamenti è l'alternativa all'unione — L'Europa disunita freno alla distensione mondiale , in «Comuni d'Europa», gennaio 1988, p. 4.Google Scholar

56 Si veda, per varie opportune riflessioni, Pistone, , op. cit., che così sintetizza nella premessa: «Schematicamente, ritengo si debba affermare che un approccio intergovernativo al problema della difesa europea sia: 1. inefficace; 2. inaccettabilmente costoso; 3. antidemocratico; 4. oggettivamente reazionario nei confronti della distensione Est-Ovest; 5. oggettivamente reazionario rispetto alle prospettive del superamento della tensione Nord-Sud».Google Scholar

57 Jannuzzi, , op. cit. , p. 332. Il corsivo è mio.Google Scholar

58 Op. cit. , p. 6.Google Scholar

59 Cfr. Santaniello, R., Si riconosca che il mercato unico non può avanzare senza una vera riforma delle istituzioni comunitarie , in «Comuni d'Europa», cit., pp. 1415.Google Scholar

60 Sui rapporti Klepsch, Davignon, Fergusson, Haagerup (per la CEE), von Hassel, De Poi (per l'U.E.O.) e sulle iniziative del Presidente Delors in materia di sicurezza e di difesa, dà un'interessante e precisa sintesi Sipala, , op. cit. , p. 170 ss. Appare convincente quanto afferma Pistone, (op. cit., p. 3) secondo il quale «senza una forte autorità democratica sovranazionale non è possibile subordinare gli interessi particolari degli apparati militari-industriali nazionali all'interesse generale europeo, così come non è possibile più in generale ottenere un'integrazione nei mercati pubblici». Si vedano poi, a quest'ultimo proposito, le misure «di salvaguardia politica» contenute nell'art. 223 del Trattato istitutivo della CEE (che non figura tra quelli modificati dall'Atto Unico Europeo, nonostante l'ampiezza e l'importanza fondamentale dell'Atto stesso, che Delors ha definito «un secondo Trattato di Roma»). Nones, Citato da M., Il caso dei settori strategici — Sfida tecnologica e risposta europea, in «Relazioni Internazionali», cit., p. 146.Google Scholar

62 Si veda Amato, G. e Salvadori, M. L., Europa conviene , in «Relazioni Internazionali», cit., pp. 3637.Google Scholar

63 In generale, sui rapporti industria-difesa, si vedano: Rossi, S.A., La prima Conferenza nazionale sull'industria per la Difesa , in «Strategia Globale», 3, 1984, pp. 151170 e, soprattutto, ISIG, Il modello del sistema Difesa-Industria-Ricerca Scientifica e Tecnologica (DIR): analisi di campo internazionale delle strutture, funzioni ed interdipendenze, ricerca finanziata dal C.N.R. e svolta nel quadro del Programma «Politica e Relazioni Internazionali» dell'Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia diretto dallo scrivente. Il lavoro di ricerca, coordinato da Carlo Pelanda, vede impegnati giovani e bravissimi studiosi come Luciano Bozzo, Renata Lizzi, Daniele Ungaro ed altri.Google Scholar

64 Seminatore, Così I., L'Acte Unique et la Défense — L'ouverture des marches publiques , in «Reussir l'Acte Unique», Dossier dell'Institut du Futur, Parigi, 1987, p. 11 (il testo originale è in francese). Seminatore riprende la proposta, già fatta in sede U.E.O. e altrove, di creare un Istituto Europeo di Alti Studi della Difesa che sarà riproposto e discusso nel «secondo Colloquio internazionale sulle relazioni tra Universitari e difesa dei Paesi europei», in fase di organizzazione per iniziativa dell'Institut du Futur e dell'Istituto per gli Studi di Previsione e le Relazioni Internazionali (ISPRI). Il Colloquio avrà probabilmente luogo in autunno 1988 a Roma. Il primo Colloquio ebbe luogo a Strasburgo (1985) e il terzo sarà ospitato dalla Spagna (Madrid, probabilmente nel 1989-90).Google Scholar

65 Così J. Delors nell'intervista data a Franco Papitto su «La Repubblica», 29/30 novembre 1987.Google Scholar

66 Julien, C., Réalisme et étique en diplomatie , in «Le Monde Diplomatique», Mars 1988, pp. 1 e 10.Google Scholar

67 Altre questioni — come ad es. gli interventi «fuori area» — sono state deliberatamente tralasciate, sia per ragioni di spazio, sia perché non solubili se prima non si arriva alla definizione ed all'attuazione di una politica estera comune inglobante, come è ovvio, i temi della sicurezza e della difesa. Nell'articolo ci si è limitati, pertanto, all'essenziale.Google Scholar