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STABILITÀ E MUTAMENTO NEI SISTEMI PARTITICI DELL'EUROPA OCCIDENTALE
Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
Introduzione
Dieci anni fa, in un articolo pubblicato postumo, Otto Kirchheimer avanzò l'ipotesi che fosse in corso una trasformazione dei sistemi di partito dell'Europa Occidentale. Secondo Kirchheimer, i partiti di massa sia di classe che confessionali si stavano trasformando in partiti «pigliatutto», ideologicamente sfumati, piú interessati a conquistare voti che a difendere principi o a perseguire obiettivi di carattere ideologico. L'emergere di questo fenomeno, secondo Kirchheimer, era da attribuire all'avvento di una società «affluente» e consumista e al conseguente allentamento dei vincoli tra i partiti di integrazione di massa e le loro basi elettorali. L'ideologia non costituiva piú l'unica determinante del comportamento elettorale. Consapevoli del cambiamento e timorosi di perdere consensi, i partiti politici rispondevano eliminando l'eccedenza di «bagaglio ideologico», sottolineando le qualità dei loro leaders, sollevando problemi di facile soluzione, e cercando il sostegno dei gruppi di interesse. Tutto questo a sua volta trasforma il ruolo e la funzione dei partiti politici. I partiti mettono in secondo piano le loro funzioni espressive — la articolazione delle domande e delle rivendicazioni — abbandonano «gli sforzi per inquadrare intellettualmente e moralmente le masse», e operano prevalentemente come agenzie elettorali, facendo promesse per ottenere voti ovunque possano trovarsi. Il risultato è che lo stile e le modalità della competizione politica ne escono trasformati. Poiché il partito «pigliatutto» è uno strumento di competizione piú efficace, gli altri partiti sono costretti a imitarlo. Cosí le caratteristiche della competizione partitica non sono piú «la formazione di preferenze politiche», la promozione di una causa o la difesa della classe gardée, ma piuttosto una battaglia opportunistica tra partiti moderati che cercano di ottenere i migliori risultati nel mercato elettorale.
- Type
- Saggi
- Information
- Italian Political Science Review / Rivista Italiana di Scienza Politica , Volume 8 , Issue 1 , April 1978 , pp. 3 - 55
- Copyright
- Copyright © Società Italiana di Scienza Politica
References
1 Kirchheimer, O., The Transformation of Western European Party Systems , in LaPalombara, J. e Weiner, M., (eds.), Political Parties and Political Development , Princeton, N.J., Princeton University Press, 1966, pp. 177–200.Google Scholar
2 Kirchheimer, , op. cit. , pp. 181–190 (citazione p. 190).Google Scholar
3 Ibidem , p. 184.Google Scholar
4 La sintesi è tratta da diverse parti dell'analisi di Kirchheimer. Vedi in particolare, pp. 185–195, 198–200.Google Scholar
5 Vi sono stati numerosi tentativi di verifica dei diversi aspetti dello scenario delineato da Kirchheimer. Tarrow ha esaminato la relazione tra livelli di sviluppo economico e cambiamenti nella struttura dei partiti di massa in Italia. Vedi Tarrow, S., Economic Development and the Transformation of the Italian Party System , in «Comparative Politics», I (1969), pp. 161–183. Per critiche e commenti si veda McHale, V. e Laughlin, J.E., Economic Development and the Transformation of the Italian Party System: A Reconsideration, in «Comparative Politics», VII (1974), pp. 37–61, e Zariski, R. e Welch, S., The Correlates of Intra-Party De-polarizing Tendencies: A Problem Revisited, in «Comparative Politics», VII (1975), pp. 407–434. Rose e Urwin hanno tentato di operazionalizzare il concetto di partito pigliatutto intendendolo come partito eterogeneo e hanno tentato di determinare se partiti eterogenei, partiti classisti o religiosi, stavano guadagnando o perdendo consensi. Vedi Rose, R. e Urwin, D., Social Cohesion, Parties and Regime Strains, in «Comparative Political Studies», II (1969), pp. 10–11, 16, 24–30, e Rose, e Urwin, , Persistence and Change in Western Party Systems Since 1945: A Study in Aggregate Analysis, (saggio preparato per la Conferenza sulla Scienza Sociale Comparata, Università di Colonia, Maggio 1969). Wolinetz ha esaminato i diversi tentativi di costruire blocchi pigliatutto in Olanda e i cambiamenti nello stile e nell'orientamento del Partito Socialista Olandese. Vedi Wolinetz, S., Party Re-alignment in the Netherlands, (tesi di Ph. D. non pubblicata, Università di Yale, 1973). Electoral Change and Attempts to Build Catch-all Parties in the Netherlands, (saggio presentato alla Riunione Annuale della Canadian Political Science Association, Montreal, Settembre 1975). Diversi tra questi studi prendono in esame un solo paese, mentre, come vedremo piú avanti, altri incontrano difficoltà nell'operazionalizzare lo scenario di Kirchheimer.Google Scholar
6 Kirchheimer, , op. cit. , pp. 187–195, 198–200.Google Scholar
7 La letteratura sul declino delle ideologie offre molti esempi. Sebbene gli autori spesso divergano sulla definizione di ideologia, vi è un certo accordo che qualcosa è cambiato; per esempio poche persone metterebbero in dubbio che la SPD ha cambiato il suo programma nel 1959. Vi sono tuttavia meno consensi sia in merito alla valutazione se tali mutamenti costituiscono un esempio del declino delle ideologie sia sulle cause di questi cambiamenti. La letteratura sulla fine delle ideologie è vasta. Per una sintesi concisa vedi Di Palma, G., (ed.), Mass Politics in Industrial Societies , Chicago, Markham Publishing Company, 1972, pp. 404–407. Si veda anche Waxman, Chiam (ed.), The End of Ideology Debate, New York, Funk and Wagnall, 1968.Google Scholar
8 Rose e Urwin classificano un partito come omogeneo se due terzi dei suoi sostenitori hanno in comune una caratteristica che non è condivisa da piú dell'83% della popolazione. Quando una caratteristica è comune a «piú del 50% ma a meno dell'83% della popolazione, un partito è considerato normalmente omogeneo su questo punto solo se il suo grado di omogeneità supera la media nazionale del 17%, la stessa cifra con cui il 67% supera il 50%». Un partito è eterogeneo quando i suoi «sostenitori non hanno in comune alcuna caratteristica sociale rilevante». Vedi Rose, e Urwin, , Social Cohesion, Parties and Regime Strains, cit., pp. 10–11, 16.Google Scholar
9 Kirchheimer, , op. cit. , pp. 185–187.Google Scholar
10 Ibidem , pp. 185–187, 189–190.Google Scholar
11 Stranamente vi sono pochi lavori sistematici sulle strategie di partito. Le opere di Downs, A., An Economic Theory of Democracy , New York, Harper & Row, 1957, e di Sjöblom, G., Party Strategies in Multiparty Systems, Lund, Student-litteratur, 1968, sono teoriche ed astratte. Studi sulle strategie e tattiche di partito si trovano nella letteratura sui partiti americani e nelle British General Elections Series, ma non esistono tentativi di classificare le strategie partitiche o di esaminare i loro effetti sui risultati delle elezioni o sui sistemi partitici.Google Scholar
12 Kirchheimer, , op. cit. , pp. 185–187, 187–188.Google Scholar
13 Cfr. i lavori citati alla nota n. 7. Vedi anche LaPalombara, J., Decline of Ideology: A Dissent and an Interpretation , in «American Political Science Review», LX (1966), pp. 5–16, e la replica di Lipset, S.M., Some Further Comments on the “End of Ideology”, pp. 17–18. Vedi anche Wolinetz, , Party Re-alignment in the Netherlands, cit., pp. 4–5, 47–84.Google Scholar
14 Kirchheimer, , op. cit. , p. 188. Vedi anche pp. 184–187.Google Scholar
15 Ibidem , pp. 192–193, 194–195.Google Scholar
16 Lipset, S.M. e Rokkan, S., Cleavage Structures, Party Systems and Voter Alignments , in Lipset, e Rokkan, , (eds.), Party Systems and Voter Alignments , New York, The Free Press, 1967, pp. 50–54.Google Scholar
17 Rose, e Urwin, , Persistence and Change in Western Party Systems since 1945 , cit., p. 14.Google Scholar
18 I sistemi analizzati includono 13 dei 14 paesi dell'Europa Occidentale a regime democratico nel dopoguerra. È escluso il Lussemburgo per mancanza di dati. I dati sulle elezioni fino al 1972 sono ricavati dal volume di Mackie, T.T. e Rose, R., The International Almanac of Electoral History , New York, The Free Press, 1974. I dati per le elezioni del 1973 e 1974 provengono dall'articolo di Mackie, e Rose, , General Elections in Western Nations During 1973, in «European Journal of Political Research», II (1974), pp. 293–298, e Mackie, e Rose, , General Elections in Western Nations During 1974, in «European Journal of Political Research», III (1975), pp. 319–328. I dati per le elezioni del 1975 sono tratti dal Keesing's Historisch Archief. Google Scholar
19 Sulle fluttuazioni in Francia e Germania vedi Rose, e Urwin, , Persistence and Change , cit., pp. 31–35 e Urwin, D., Germany: Continuity and Change in Electoral Politics , in Rose, R., (ed.), Electoral Behavior: A Comparative Handbook, New York, The Free Press, 1974, p. 128.Google Scholar
20 Rose e Urwin considerano statisticamente improbabile che un grande numero di elettori spostandosi da un partito all'altro producano quasi gli stessi totali partitici da una elezione all'altra. Vedi Rose, e Urwin, , Persistence and Change, cit., pp. 25–26.Google Scholar
21 Dati ricavati da analisi demoscopiche confermano l'aumento dei voti fluttuanti in Gran Bretagna. Vedi Butler, D.E. e Stokes, D., Political Change in Britain, seconda edizione, London, The McMillan Press Ltd., 1974, pp. 206–208, 411–419.Google Scholar
22 Sui cambiamenti nel sistema partitico danese vedi Borre, O., Denmark's Protest Election of 1973 , in «Scandinavian Political Studies», IX (1974), pp. 196–203; Borre, O., The General Elections in Denmark January 1975: Toward a New Structure of the Party System, in «Scandinavian Political Studies», X (1976), pp. 211–216; Worre, T., Protest Dimensions and Ideological Re-orientation of the Danish Party System, saggio preparato per il workshop dell'ECPR su «Political Behavior, Dissatisfaction and Protest», Louvain-la-Neuve, Aprile 1975; Damgaard, E., Stability and Change in the Danish Party System over Half a Century, in «Scandinavian Political Studies», IX (1974), pp. 103–127.Google Scholar
23 Sui cambiamenti nel sistema partitico norvegese, vedi Valen, H., Norway: “No to E.E.C.” , in «Scandinavian Political Studies», VIII (1973), pp. 214–226; Rokkan, S. e Valen, H., Norway: The Election to the Storting in September, 1973, in «Scandinavian Political Studies», IX (1974), pp. 205–218; Hellevick, O., The Common Market Decision in Norway: A Clash Between Direct and Indirect Democracy, in «Scandinavian Political Studies», VIII (1973), pp. 221–235; Valen, H., National Conflict Structure and Foreign Politics: The Impact of the E.E.C. Issue On Perceived Cleavages in Norwegian Politics, in «European Journal of Political Research», IV (1976), pp. 47–82.Google Scholar
24 Sui cambiamenti nel sistema partitico belga, vedi Philippart, A., Belgium: Language and Class Opposition , in «Government and Opposition», II (1976), pp. 74–75, 86–87; Hill, K., Belgium: Political Change in a Segmented Society , in Rose, , Electoral Behavior, cit., pp. 44–52.Google Scholar
25 Sull'Olanda, , vedi Wolinetz, S.B., Party Re-alignment in the Netherlands , cit., e Electoral Change and Attempts to Build Catch-all Parties in the Netherlands, cit.Google Scholar
26 Rae, D., A Note on the Fractionalization of Some European Party Systems , in «Comparative Political Studies», I (1968), pp. 414. Vedi anche Rae, D., The Political Consequences of Electoral Laws, edizione rivista, New Haven, Yale Press, 1971, pp. 53–58. La Formula semplificata per il calcolo statistico è: I punteggi di frazionalizzazione possono essere calcolati sia per i risultati elettorali (Fe) o per divisioni in una legislatura (Fp). I punteggi di frazionalizzazione possono essere considerati scale a intervallo, vedi Rae, , The Political Consequences of Electoral Laws, cit., p. 58.Google Scholar
27 Il mutamento netto tra elezioni è misurato sottraendo il punteggio di frazionalizzazione nella prima elezione della serie dal punteggio di frazionalizzazione nell'ultima della serie. Il cambiamento globale è misurato sottraendo il punteggio di frazionalizzazione medio per le prime due elezioni della serie dal punteggio medio per le ultime due elezioni della serie. Questa procedura è usata per minimizzare gli effetti delle fluttuazioni nelle prime o ultime elezioni.Google Scholar
28 Per esempi di partiti che hanno cambiato la propria ideologia vedi la nota n. 7. È importante ricordare che la moderazione ideologica non garantisce necessariamente vantaggi elettorali, e che partiti che non hanno mutato ideologia o non hanno adottato strategie pigliatutto talvolta hanno guadagnato comunque voti. Il Partito Socialista Olandese (PvdA) è un ottimo esempio: il partito moderò la sua ideologia nel 1946 e abbandonò Marx nel 1959 ma non guadagnò molti consensi. Alla fine degli anni '60 una fazione della Nuova Sinistra costrinse il partito ad adottare una strategia piú radicale. Il partito ottenne nuovi consensi nelle elezioni del 1971 e 1972. Vedi Wolinetz, , New Left and the Transformation of the Dutch Socialist Party, cit., pp. 28–33.Google Scholar
29 Per una esposizione classica, vedi Campbell, A., Converse, P., Miller, W. e Stokes, D.E., The American Voter , New York, John Wiley & Sons, 1960, pp. 120–146. I primi tentativi di una applicazione in chiave comparata del concetto di identificazione partitica comprendono Converse, P. e Depeux, G., Politicization of the Electorate in the United States and France, in The American Voter, cit., pp. 269–291, e Campbell, A. e Valen, H., Party Identification in Norway and the United States, in «Public Opinion Quarterly», XXV (1961), pp. 504–545. Vedi, in particolare, Converse, P., Of Time and Partisan Stability, in «Comparative Political Studies», II (1969), pp. 139–171. Per una rassegna di questa letteratura, vedi Prewitt, K. e Nie, N., Election Studies of the Survey Research Centre, in «British Journal of Political Science», I (1971), pp. 479–502.Google Scholar
30 Vedi, per esempio, Shively, W.P., Party Identification, Party Choice and Voting Stability , in «American Political Science Review», LXVI (1972), pp. 1203–1225; Wildenmann, R., Parteien-Identification in der Bundesrepublik , in Stammer, O., (ed.), Party Systems, Party Organization and the Politics of the New Masses, Berlin, Institut für Politische Wissenschaft an der Freien Universität Berlin, 1966, pp. 234–69; Kaase, M., Determinanten des Wahlverhältnisses bei der Bundestagswohl 1969, in «Politische Vierteljahresschrift», XI (1970), pp. 46–110; Jennings, M.K., Partisan Commitment and Electoral Behavior in the Netherlands, in «Acta Politica», VII (1972), e Thomassen, J., Party Identification as A Cross-Cultural Concept: Its Meaning in the Netherlands, in «Acta Politica», X (1975), pp. 36–56. Sia Thomassen che Shively forniscono utili sintesi dell'argomento. Vedi Thomassen, , pp. 36–40 e Shively, cit., pp. 1204–1206, 1222–1225.Google Scholar
31 Vedi Butler, e Stokes, , op. cit. , pp. 39–47, e Thomassen, , op. cit., pp. 45–52. Shively e Thomassen affermano che domande sull'identificazione partitica in Olanda possono fare poco piú che scoprire le preferenze partitiche dei rispondenti; vedi Shively, , pp. 1204–1206 e Thomassen, , pp. 43–44.Google Scholar
32 Vedi, Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 43–47, Thomassen, , op. cit., pp. 53–55, e Shively, , op. cit., pp. 1222–1225.Google Scholar
33 La difficoltà è dovuta, in parte, al fatto che molte delle affermazioni fatte sono basate su singoli sistemi in determinati momenti. Molte analisi ipotizzano che vi sia un solo fattore — l'identificazione partitica o la struttura sociale — che determina il comportamento elettorale in tutte le situazioni, ma la forza e l'impatto dell'identificazione partitica possono variare nel tempo, tra i gruppi sociali, e tra i sistemi politici. Per esempio è possibile che gli alti livelli di identificazione partitica riscontrati nei primi studi elettorali negli Stati Uniti riflettano la politica moderata e consensuale degli anni '50. Studi basati su dati piú recenti hanno messo in luce piú bassi livelli di identificazione partitica e una maggiore fluttuazione dei voti, vedi Nie, N. (con Anderson, K.), Mass Belief Systems Revisited: Political Change and Attitude Structure , in «Journal of Politics», XXXVI (1974), pp. 540–589, in particolare pp. 584–585. Analogamente, i bassi livelli di identificazione partitica che Shively ha trovato tra le elettrici nella Germania di Weimar possono essere il risultato sia della loro recente acquisizione del diritto di voto sia del disordine politico nel periodo di Weimar. I bassi livelli di identificazione partitica nella Germania del dopoguerra possono riflettere lo stile «pigliatutto» della CDU e della SPD e la ricostruzione del sistema partitico. Vedi Urwin, D., Germany: Continuity and Change in Electoral Politics, cit., pp. 128–131. Similmente i bassi livelli di identificazione partitica che Thomassen e Jennings trovano in Olanda negli anni '70 possono riflettere i cambiamenti verificatisi nel sistema partitico olandese alla fine degli anni '60. Per un ulteriore approfondimento, vedi Wolinetz, , Party Re-alignment in the Netherlands, cit., pp. 85–115.Google Scholar
34 Converse, , Of Time and Partisan Stability, cit., pp. 141–148 ss., 165–167.Google Scholar
35 Vedi Campbell, , et al., The American Voter , cit., pp. 523–531, e Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 230–233, 234–243, 409–419.Google Scholar
36 Converse, , Of Time and Partisan Stability, cit., pp. 141–148 ss., 165–167.Google Scholar
37 Sebbene Butler e Stokes sottolineino che le identificazioni di partito sono soggette a cambiare almeno quanto le preferenze partitiche, essi mettono in particolare rilievo gli effetti del ciclo di vita e il rafforzarsi dei vincoli di partito nel tempo, vedi pp. 48–66, in particolare pp. 58–63 e ss.Google Scholar
38 Nel loro lavoro sulla Danimarca, Ole Borre e Daniel Katz distinguono tra identificazioni di partito basate su considerazioni pragmatiche, ideologiche e simboliche, e trovano che gli elettori il cui attaccamento è di tipo ideologico tendono ad essere meno fedeli degli elettori che si identificano in base a considerazioni di tipo pragmatico o simbolico, vedi Borre, e Katz, , Party Identification and Its Motivation Base in a Multiparty System: A Study of the Vanish General Election of 1971 , in «Scandinavian Political Studies», VIII (1973), pp. 69–111, in particolare vedi pp. 94–97. Borre rileva anche che gli elettori intervistati nel 1971 che dichiararono di avere cambiato il proprio voto nelle ultime tre elezioni avevano piú alti livelli di coerenza sulla dimensione sinistra-destra, vedi Borre, O., Party and Ideology in Denmark, paper non pubblicato, Aarhus University, 1973, pp. 10–12 e 37–41.Google Scholar
39 Vedi Epstein, L.D., Political Parties in Western Democracies , New York, Praeger, 1967, pp. 19–31.Google Scholar
40 Vedi Lipset, e Rokkan, , op. cit. , e Converse, , Of Time and Partisan Stability , cit., pp. 165–167.Google Scholar
41 Sarlvick ne ha fornito la prova nei suoi studi sul comportamento elettorale svedese: è piú probabile che gli elettori cambino voto da un partito all'altro nel blocco borghese (Conservatori, Liberali e Partito di Centro) che non tra i partiti borghesi e i Socialdemocratici. Vedi Sarlvick, B., Political Stability and Change in the Swedish Electorate , in «Scandinavian Political Studies», I (1966), pp. 188–192, 195–196.Google Scholar
42 Significativamente, nella letteratura sulle elezioni critiche e sul ri-allineamento negli Stati Uniti, il ri-allineamento è in genere considerato come il risultato di profonde divisioni o crisi, vedi Burham, W.D., Critical Election and the Mainsprings of American Politics , New York, W.W. Norton & Co., 1970, pp. 6–10, 175–183; e Sundquist, J.L., The Dynamics of the Party System: Alignment and Re-alignment of Political Parties in the United States, Washington, D.C., Brookings Institution, 1973, pp. 29–33, 275–298.Google Scholar
43 Vi sono pochi studi in chiave comparata sul fenomeno dell'imborghesimento. Hamilton, R. in Affluence and the French Worker , Princeton, Princeton University Press, 1967, ha trovato che gli operai francesi spesso rimanevano leali perché erano stati socializzati dal sindacato comunista e interpretavano l'aumento di ricchezza in un quadro di riferimento comunista. In Gran Bretagna, Goldthorpe e i suoi collaboratori hanno trovato pochi elementi a sostegno del fenomeno dell'imborghesimento, vedi Goldthorpe, J., et al., The Affluent Worker: Political Attitudes and Behaviour, Cambridge, Cambridge University Press, 1968, pp. 33–48. Butler e Stokes hanno indivividuato un indebolimento dello schieramento di classe in Gran Bretagna, ma lo attribuiscono ad un mutamento intergenerazionale piuttosto che ad uno spostamento di lavoratori «imborghesiti» dai Laburisti ai Conservatori, vedi Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 172–181, 193–195 e ss., 200–206. Per una rassegna della letteratura, vedi Bakvis, H., The Determinants of Working Class Conservatism, dissertazione non pubblicata, University of British Columbia, 1972.Google Scholar
44 Vedi Butler, e Stokes, , op. cit. , pp. 166–181 e ss., 288–233.Google Scholar
45 Sui problemi del ritardo della mobilitazione e sulla posizione della Chiesa, vedi Zariski, R., Italy. The Politics of Uneven Development , Hinsdale, Illinois, The Dryden Press, pp. 147–150, e Lipset, e Rokkan, , op. cit., pp. 50–52. Sulla progressiva crescita del PCI, vedi Sani, G., Secular Trends and Party Re-alignments in Italy: the 1975 Election, saggio presentato alla Riunione annuale della American Political Science Association, San Francisco, September, 1975, pp. 1–7, 14–24.Google Scholar
46 Vedi Converse, e Dupeux, , op. cit. , pp. 277–283; Lipset, e Rokkan, , op. cit., p. 51: e Rose, e Urwin, , Persistence and Change, cit., pp. 32–33.Google Scholar
47 Vedi Chariot, J., The Gaullist Phenomenon, London, George Allen & Unwin, 1970. pp. 43–60, 63–66 e ss., 101–124 e ss.; Wilson, F. L., Gaullism without De Gaulle, in «Western Political Quarterly», XXVI (1973), pp. 485–506; Wilson, F. L., Changes in the Party System Since 1958, saggio presentato alla Riunione annuale della American Political Science Association, San Francisco, 1975, pp. 3–4, 7–11, 25–28; Cameron, D. e Hofferbert, R., Continuity and Change in Gaullism: The General's Legacy, in «American Journal of Political Science», XVII (1973), pp. 78–83, 91–94; Campbell, B. A., The Future of the Gaullist Majority: An Analysis of French Electoral Politics, in «American Journal of Political Science», XVIII (1974), pp. 67–94; vedi anche, McHale, V. e Shaber, S., From Aggressive to Defensive Gaullism: the Electoral Dynamics of a Catch-All Party, «Comparative Politics», VIII (1976), pp. 293–294.Google Scholar
48 Lipset, e Rokkan, , op. cit., pp. 51–52; Dahrendorf, R., Society and Democracy in Germany , Garden City, N.Y., Anchor Books, 1969, pp. 381–396; Loewenberg, G., The Remarking of the West German Party System, in «Polity», I (1968), pp. 90–94.Google Scholar
49 Lowenberg, , op. cit. , pp. 94–99, 100–106, 107–109. Vedi anche Heidenheimer, A. J., Adenauer and the CDU, The Hague, Martinus Nijhoff, 1960, pp. 30–60; e Chalmers, D., The Social Democratic Party of Germany, New Haven, Yale Press, 1964, pp. 79–84, 200–225, 231–232.Google Scholar
50 Lipset, e Rokkan, , op. cit. , p. 50–52, e Loewenberg, , op. cit., pp. 90–91, 106–107.Google Scholar
51 Lipset, e Rokkan, , op. cit., pp. 50–54.Google Scholar
52 Lipset, e Rokkan, , op. cit. , pp. 50–54 e Converse, , Of Time and Partisan Stability, cit., pp. 165–167.Google Scholar
53 Butler, e Stokes, , op. cit. , pp. 211–216, 221–233.Google Scholar
54 Sui cambiamenti nella struttura di classe vedi Dahrendorf, R., Recent Changes in the Class Structure of European Societies , in «Daedalus», (1964), pp. 225–270. Vedi anche Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 193–205, 417–419.Google Scholar
55 Sulla possibile influenza dei mezzi di comunicazione di massa, vedi Butler, e Stokes, , op. cit. , pp. 199–200, 418–419.Google Scholar
56 Inglehart, R., The Silent Revolution in Europe: Intergenerational Change in Post-Industrial Societies , in «American Political Science Review», LXV (1971), pp. 991–993 e ss., 1009–1017. Vedi anche Butler, e Stokes, , op. cit., pp. 193–195, 416–419.Google Scholar
57 Inglehart, , op. cit. , pp. 1009–1017. Vedi anche Philippart, , op. cit., pp. 64–66 e ss.Google Scholar
58 Vedi McHale, e Shaber, , op. cit. , pp. 299–303; Cameron, D., Consociation, Cleavage and Realignment: Post-Industrialization and Partisan Change in Eight European Nations, saggio presentato alla Riunione annuale della American Political Science Association, Chicago, 1974, pp. 65–72.Google Scholar
59 Partiti Socialisti dissidenti alla sinistra dei Partiti Socialisti o Social-Democratici esistono in Francia, Italia, Olanda, Danimarca e Norvegia. Sulle loro origini vedi Rizzi, F., From Socialist Unification To Socialist Scission: Socialist Unification and the Italian Party System , «Government and Opposition», IX (1974), pp. 152–153; van der Land, L., Het Ontstaan van de Pacifistisch Socialistische Partij, Amsterdam, Ge Bezige Bij, 1962; Damgaard, , op. cit., pp. 117–119; Valen, e Rokkan, , Norway: The Election to the Storting of September, 1973, cit., p. 127.Google Scholar
60 Vedi Valen, , National Conflict Structure and Foreign Politics, cit., pp. 47–49, 76–78.Google Scholar
61 L'Olanda rappresenta un ottimo esempio, vedi Wolinetz, , Party Re-alignment in the Netherlands, cit., pp. 62–73 e ss.Google Scholar
62 Vedi King, A., Overload-Problems of Governing in the 1970's , in «Political Studies», XXIII (1975), pp. 284–296.Google Scholar
63 Vedi Inglehart, , op. cit. , pp. 991–993 e ss., e Marsh, A., The Silent Revolution: Value Priorities and the Quality of Life in Britain , in «American Political Science Review», LXIX (1975), pp. 21–30. Marsh sostiene che persone con valori di tipo ‘post-materialista’ in Gran Bretagna mostrano una tendenza ad essere altrettanto, se non piú, insoddisfatti delle loro condizioni materiali degli elettori con valori di tipo ‘acquisitivo’, vedi pp. 22–25.Google Scholar
64 Sulle pratiche o politiche di governo come fonte di nuove fratture, vedi Cameron, D., Toward a Theory of Political Mobilization , in «Journal of Politics», XXXVI (1974), pp. 167–170, e Cameron, , Consociation Cleavage, and Re-alignment, cit., pp. 65–67 e ss.Google Scholar
65 Anche Kirchheimer riconosceva dei limiti alla elasticità degli appelli partitici, vedi la sua discussione sui limiti degli appelli dei partiti di classe e confessionali, op. cit. , pp. 186–187 e ss.Google Scholar
66 Vedi Kirchheimer, , op. cit., pp. 188–189.Google Scholar
67 Vedi Philippart, , op. cit., pp. 64–80; Lorwin, V., Linguistic Pluralism and Political Tensions in Modern Belgium, in «Canadian Journal of History», V (1970), pp. 1–23; Hill, K., Belgium, in Enig, S. e Pinder, J., op. cit., pp. 74–75, 86–87; Hill, K., Belgium: Political Change in a Segmented Society, cit., pp. 44–51.Google Scholar
68 Vedi Wolinetz, , Party Re-alignment in the Netherlands, cit., pp. 62–78, 91–108, o Wolinetz, Electoral Change –, cit., pp. 3–5, 12–15.Google Scholar
69 Vedi Borre, , Denmark's Protest Election of December, 1973, cit., pp. 198–204; Borre, The General Election in Denmark in January, 1975, cit., pp. 211–216; Worre, T., Protest Dimensions and Ideological Re-Orientation of the Danish Party System, cit., pp. 2–5, 10–14; vedi anche Valen e Rokkan, Norway: the Election to the Storting in September, 1973, cit., p. 217.Google Scholar
70 Vedi Valen, , National Conflict Structures and Foreign Politics, cit., pp. 47–49, 50–54 e ss., 61–68 e ss., e 76–78. Vedi anche, Hellevick, The Common Market Decision in Norway, cit., pp. 227–235; Valen, Norway: ‘No to E.E.C.’, cit., pp. 214–216 e ss.; e Valen e Rokkan, Norway: The Election to the Storting in September, 1973, cit., pp. 205–217.Google Scholar
71 Baxter-Moore, N.J., Britain: from Multi-cultural Society to Multi-cultural Polity, saggio presentato al workshop su «Politics of Multi-cultural Societies», European Consortium for Political Research, Louvain, Belgium, 1976, pp. 11–23; vedi anche Butler and Stokes, op. cit., pp. 193–200.Google Scholar
72 Vedi Baxter-Moore, , op. cit., pp. 11–20; Urwin, D. W., The Alchemy of Delayed Nationalism: Politics, Cultural Identity and Economic Expectation in Scotland, saggio presentato al workshop di cui alla nota precedente, pp. 11–19, 21–23; Hall, P. e Webb, K., Explanations of Political Nationalism in Scotland, saggio presentato al workshop dell'ECPR su «Political Behavior, Dissatisfaction, and Protest», Louvain-la-Neuve, Aprile, 1975.Google Scholar
73 Cameron sostiene che vi è una relazione tra indici di post-industrializzazione (p.e. percentuale della popolazione con istruzione universitaria, urbanizzazione, rapporto tra settore secondario e terziario) e la crescita dei partiti di centro. Comunque la sua definizione dei partiti di centro è estremamente ampia: è discutibile, infatti, classificare come partiti di centro i Liberali e i Radicali in Olanda e i partiti linguistici belgi. I Liberali Olandesi sono alla destra nello spettro politico del dopoguerra. I Radicali hanno avuto origine da una scissione dal Partito Cattolico del Popolo ma da allora si sono progressivamente spostati a sinistra collocandosi tra i Socialisti e i Socialisti Pacifisti, vedi Cameron, , Consociation, Cleavage and Partisan Change in Eight Countries, cit., pp. 47–48, 53–63.Google Scholar
74 Valen, e Rokkan, , Norway: The General Election of 1973 , cit., p. 217; vedi anche Petersson, O., The 1973 General Election in Sweden, in «Scandinavian Political Studies», IX (1974), pp. 219–228.Google Scholar
75 Rae, , Hanby, , e Loosemore, distinguono tra soglie di rappresentanza e soglie di esclusione. La soglia di rappresentanza è la quota minima del totale dei voti che un partito può assicurarsi e ottenere teoricamente la rappresentanza, mentre la soglia di esclusione è la quota massima dei voti che un partito può vincere e cionondimeno non ottenere la rappresentanza. Entrambe dipendono dalla legge elettorale, dal numero dei partiti, dalla concentrazione o dispersione dei voti di un dato partito, dalla grandezza delle circoscrizioni. Nei sistemi maggioritari uninominali, la soglia di rappresentanza è bassa — una piccola frazione del voto nazionale — se vi è un grande numero di partiti in competizione e i voti dello sfidante sono concentrati. Se vi sono meno partiti in competizione (o alleanze tra i partiti) e i voti dello sfidante sono dispersi, la soglia di esclusione in un sistema maggioritario uninominale è alta — quasi il 50% del voto popolare. In sistemi con rappresentanza proporzionale di lista, le soglie dipendono dalla formula di assegnazione e dalla grandezza delle circoscrizioni. Piú piccolo è il numero di rappresentanti per circoscrizione, piú bassa la soglia di rappresentanza e piú alta la soglia di esclusione. Col crescere della grandezza della circoscrizione si avvicinano una all'altra. Le soglie di esclusione tendono ad essere piú alte con il sistema di Hondt e piú basse con il sistema St. Lague o il sistema dei resti piú alti. Le soglie di rappresentanza tendono ad essere altissime nei sistemi St. Lague, piú basse con il sistema di Hondt, e bassissime col sistema dei resti piú alti. Questo, naturalmente, implica l'assenza di una soglia legale. Vedi Rae, D., Hanby, V. e Loosemore, J., Threshholds of Representation and Treshholds of Exclusion: an Analytical Note on Electoral Systems , in «Comparative Political Studies», III (1971), pp. 479–488. Per fini di analisi, i sistemi di rappresentanza proporzionale con voto di lista sono stati classificati come molto permissivi, moderatamente permissivi, e restrittivi in base a due criteri: la presenza o l'assenza di una alta soglia minima fissata per legge (il 5% in Germania o il 4% in Svezia) e la grandezza delle circoscrizioni. Piú grande la circoscrizione, maggiore è la probabilità che soglie di rappresentanza e soglie di esclusione tendano a coincidere e che la distribuzione dei seggi sia perfettamente proporzionale. Si veda Rae, D., The Political Consequences of Electoral Laws, cit., pp. 114–124. Per evitare confusioni, il sistema maggioritario inglese, il sistema francese del doppio turno, e il sistema irlandese del voto singolo trasferibile, sono stati raggruppati in una categoria residua. I dati sulla grandezza delle circoscrizioni sono tratti da Rae, , op. cit., pp. 42–44.CrossRefGoogle Scholar
76 Vedi Sartori, G., European Political Parties: The Case of Polarized Pluralism, in LaPalombara e Weiner, Political Parties and Political Development, Princeton, N.J., Princeton University Press, 1966, pp. 165–174. È importante notare, comunque, che i partiti minori piú vecchi — le tipiche «minoranze incoercibili» — spesso non hanno beneficiato del disgelo degli schieramenti partitici. Molti di questi partiti sono troppo rigidi per avvantaggiarsi di questa opportunità.Google Scholar
77 La soppravvivenza dei Liberali e la crescita dell'SNP non è una anomalia. Come indicato nella nota 75, i sistemi maggioritari uninominali non hanno solo soglie di esclusione alte (che conducono a sistemi bi-partitici), ma anche soglie di rappresentanza basse. Concentrazioni regionali di voti hanno favorito entrambi i partiti.Google Scholar
78 L'NPD, comunque, non è riuscito a superare la soglia del 5% nel 1969. Significativamente, questa sfida all'egemonia SPD e CDU avvenne durante il periodo della Grande Coalizione. Una ragione del perché il NPD non è riuscito a raggiungere il 5% nel 1969 fu che la CDU si spostò verso destra per contrastarlo. Vedi Kaltefleiter, W., The Impact of the Election of 1969 and the Formation of the New Government on the German Party System , in «Comparative Politics», II (1970), pp. 593–597, e Warnecke, S., The Future of Right Wing Extremism in Western Germany, in «Comparative Politics», II (1970), pp. 629–652.Google Scholar
79 Sull'uso delle leggi elettorali a fini di ingegneria politica, vedi Sartori, , op. cit. , pp. 165–174.Google Scholar
80 Questo non significa che tutti i partiti hanno abbandonato l'ideologia o sono passati attraverso le trasformazioni interne che Kirchheimer ha indicato o che i partiti che hanno moderato i loro toni hanno fatto questo per le ragioni suggerite da Kirchheimer. La strategia che un partito impiega dipende in larga misura dai suoi leaders. Per un ulteriore approfondimento, vedi Wolinetz, , New Left and the Transformation of the Dutch Socialist Party, cit., pp. 14–27, 35–38.Google Scholar
81 Kirchheimer, , op. cit. , pp. 188–189, 198–200.Google Scholar
82 Questo è successo in Olanda. Partiti come «Democratici '66» sono danneggiati dalla mancanza di organizzazione, dalle alleanze con i Socialisti e dalla partecipazione al governo.Google Scholar
83 La spinta in avanti e il declino dei partiti minori in Olanda è un ottimo esempio. I primi progressi del Partito dei Contadini e di «Democratici '66» sono stati seguiti dai progressi dei «Socialisti Democratici '70» e del Partito Radicale. «Democratici '66», il Partito dei Contadini, e i «Socialisti Democratici '70» sono virtualmente defunti.Google Scholar
84 Le crisi e l'indebolimento dei vincoli partitici possono rendere disponibili gli elettori per movimenti anti-democratici. La trattazione classica è di Kornhauser, William, The Politics of Mass Society, cit.Google Scholar
85 Vedi Burnham, , Critical Election and the Mainsprings of American Politics, cit., pp. 6–10, 175–188 e ss.; Sundquist, The Dynamics of the Party System, cit., pp. 29–33, 275–298. Nonostante l'assenza di un sistema presidenziale l'argomento può essere applicato anche al Canada. Comunque, nel caso canadese, la incapacità dei Liberali e dei Conservatori di trovare un modo di comporre il malcontento degli agrari negli anni '20 e '30 fece emergere un sistema multipartitico su base regionale piuttosto che dare vita ad un ri-allineamento del sistema bi-partitico.Google Scholar
86 Vedi Burnham, , op. cit., pp. 175–188 e ss.Google Scholar
87 Forse il migliore esempio di tale problema nell'Europa Occidentale del dopoguerra fu il problema dell'adesione alla CEE di Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia. L'appartenenza al Mercato Comune fu un problema del tipo si o no che divise numerosi partiti. In Norvegia, il referendum produsse dei modelli di comportamento elettorale che riproducevano le lotte centroperiferia degli anni intorno al 1880. Se queste siano deviazioni temporanee o cambiamenti piú duraturi resta da vedere. Vedi Valen, e Rokkan, , Norway: The Election to the Storting in September, 1973 , cit., pp. 205–217, e Valen, , National Conflict Structures and Foreign Politics, cit., pp. 47–49 e ss., 76–78.Google Scholar
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