La questione relativa alla sepoltura dei membri delle élites tardoantiche nell'Urbe non è mai stata indagata sistematicamente sotto il profilo archeologico,Footnote 1 il che si pone in aperta controtendenza rispetto al notevole sviluppo degli studi sull'aristocrazia del periodo.Footnote 2 Il fine del presente contributo è quello di proporre alcune riflessioni riguardo alla relazione tra status sociale e carattere più o meno privilegiato della sepoltura,Footnote 3 a partire dall'analisi di alcune tombe di individui di rango senatorio ed equestre databili al IV secolo e rintracciabili archeologicamente nel suburbio di Roma.Footnote 4
Lo studio delle sepolture delle élites tardoantiche risente generalmente dei preconcetti storiografici legati al fortunato tema delle ‘sepolture privilegiate’, spesso causa di interpretazioni arbitrarie dello status dei defunti. Nell'approccio a questo tema, data anche la necessità di creare delle sintesi diacroniche,Footnote 5 il complesso insieme delle élites tardoantiche dell'Urbe tende ad essere appiattito, in quanto individui ai vertici delle istituzioni della città e dell'impero sono spesso comparati a semplici funzionari statali in carriera, ad esponenti delle gerarchie ecclesiastiche o a individui genericamente abbienti inquadrabili nel vasto insieme delle cosiddette sub-élites.Footnote 6
Al contrario, un'analisi concentrata su un ambito cronologicamente ristretto e istituzionalmente noto, con un focus particolare sul rango effettivo dei proprietari delle varie sepolture in questione, restituisce un'immagine sicuramente più significativa del fenomeno. Lo studio delle varie evidenze di IV secolo permette di intravedere una particolare eterogeneità nelle scelte sepolcrali delle élites di Roma, che sembra rispecchiare, anche in ambito funerario, quel ben noto clima di gerarchizzazione, mobilità sociale e ‘trasformazione’ a cui fu soggetta l'aristocrazia in età tardoantica, minandone definitivamente qualsivoglia concezione monolitica.Footnote 7
Le epigrafi funerarie, sebbene a loro volta rappresentino documenti complessi,Footnote 8 possono fornire parametri identificativi affidabili nella valutazione dello status sociale dei propri titolari. Di norma, infatti, nei loro epitaffi come altrove, gli esponenti degli ordini senatorio ed equestre erano soliti identificarsi tramite alcune formule di rango a loro riservate: viri egregii, viri perfectissimi e viri eminentissimi (Brill's New Pauly: ss.vv. Vir egregius, Perfectissimus, Eminentissimus), per gli esponenti dell'ordine equestre; viri clarissimi, viri spectabiles e viri inlustres (Brill's New Pauly: ss.vv. Vir clarissimus, Spectabilis, Illustris vir), per i membri dell'ordine senatorio, così suddivisi secondo l'importanza della carica assunta (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1997: 266–7; Bruun, Reference Bruun, Edmondson and Bruun2018). Quest'ultima suddivisione subentrò intorno alla metà del IV secolo a causa dell'esponenziale ampliamento dell'ordine senatorio promosso, come si sa, in età costantiniana, nel quale confluirono ‘ex officio’ molti dei membri dell'ordine equestre.Footnote 9
La diffusione di queste formule permette, dunque, di identificare gli epitaffi di numerosi esponenti dei due ordines maggiori della società romana, la gran parte dei quali risultano essere individui sconosciuti ad altre fonti. Nei casi in cui queste epigrafi si conservino o siano state ritrovate in situ, è possibile riconoscere archeologicamente sepolture effettivamente appartenenti a personaggi inquadrabili a tale alto livello sociale, a prescindere dalla monumentalità e dalle possibili caratteristiche di prestigio esibite da tipologia sepolcrale e contesto.Footnote 10
Altre attestazioni epigrafiche, sicuramente più esigue, riguardano la sepoltura di defunti illustri di cui abbiamo precise informazioni prosopografiche. In questi casi si tratta, normalmente, di sepolture veramente eccezionali, appartenenti a individui posti al vertice della scala gerarchica del tempo, che forniscono un ottimo punto di partenza per questo tipo di analisi.
L'esempio forse più emblematico di questa categoria è rappresentato dalla sepoltura del celebre Sextus Claudius Petronius Probus, console nel 371 in coppia con l'imperatore Graziano e prefetto del Pretorio per ben quattro volte tra il 364 e il 383.Footnote 11 Così come il consolato fu tradizionalmente l'ufficio più prestigioso della carriera senatoria (Bagnall et al., Reference Bagnall, Cameron, Schwartz and Worp1987: 1–35; Sguaitamatti, Reference Sguaitamatti2012: 51–80), è ben noto che la prefettura del Pretorio, in particolare a partire dalle riforme di tale carica promosse da Costantino, rappresentasse una delle maggiori posizioni di potere all'interno dell'apparato burocratico dell'impero tardoantico (Porena, Reference Porena2003; Porena e Huck, Reference Porena and Huck2023).
Nel 1455 il lungo epitaffio di ProbusFootnote 12 fu visto e trascritto dall'umanista Maffeo Vegio, quando era ancora in situ in un imponente mausoleo posizionato direttamente a ridosso dell'abside della basilica di S. Pietro.Footnote 13 La descrizione del sepolcro fornita dall'umanista è l'unica testimonianza rimasta dell'importante monumento, coinvolto, poco dopo, nelle prime demolizioni legate al cantiere della nuova basilica.Footnote 14 La nostra conoscenza su di esso appare decisamente parziale, in quanto tale descrizione si dimostra ambigua su diversi importanti particolari, a partire dall'effettiva collocazione della lunga iscrizione in onore del defunto,Footnote 15 mentre anche la sua rappresentazione in forma di piccola basilica a tre navate, che compare nella celebre iconografia dell'antica S. Pietro di Tiberio Alfarano (Reference Alfarano1914: 52–3), è da considerarsi un'interpretazione non basata su incontrovertibili prove monumentali [Fig. 1].Footnote 16 Ad ogni modo, il testo del Vegio sembra affidabile almeno riguardo a tre elementi indicativi della facies tardoantica del sepolcro: la sua posizione, che appare privilegiatissima per la vicinanza alla tomba di S. Pietro; la grandezza, che riecheggia anche nell’incipit dell'epitaffio di Probus, dove ne viene rimarcato, in particolare, lo sviluppo in elevato;Footnote 17 infine, il decor interno, caratterizzato dall'uso di grandi colonne marmoree (Della Schiava, Reference Della Schiava2009: 110).Footnote 18
Durante la distruzione del sepolcro, al di sotto del suo piano pavimentale, furono recuperati due importanti sarcofagi: l'esemplare ‘a colonne’, oggi conservato nel Museo Petriano (Repertorium 1: n. 678, 277–8; Dresken-Weiland, Reference Dresken-Weiland2003: 118–19) [Fig. 2], ed il sarcofago ‘a porte di città’, entrato nella collezione Borghese e successivamente smembrato tra i Musei Capitolini e il Louvre (Repertorium 1: n. 829, 347–8; Repertorium 3: n. 428, 201; Metzger, Reference Metzger, Baratte and Metzger1985; e di recente, Giroire e Szewczyk, Reference Giroire and Szewczyk2022: n. 349, 436) [Fig. 3]. Il primo è considerato tradizionalmente il sarcofago dello stesso Probus su suggestione di Matteo Vegio, il quale fu testimone del suo ritrovamento al centro del mausoleo e del recupero, al suo interno, dei resti di un sudario in fili d'oro (Della Schiava, Reference Della Schiava2009: 111). Ambedue i sarcofagi, inquadrabili cronologicamente in età teodosiana, appaiono in linea con l'eccezionalità del sepolcro, sia per qualità dei rilievi che per dimensioni.Footnote 19 Dimitri Cascianelli (Reference Cascianelli, de Vingo, Marano and Gil2021: 107–8), contro l'interpretazione tradizionale, ha recentemente riproposto l'attribuzione a Probus del sarcofago della collezione Borghese già avanzata in passato (von Schoenebeck, Reference von Schoenebeck1935: 111–14), per via della tipologia e, soprattutto, per la rappresentazione di una scena ‘pubblica’ sul suo lato destro, in cui il defunto è ritratto tra i suoi funzionari nell'esercizio del suo ufficio [Fig. 3B]. Entrambi i sarcofagi presentano, sulla fronte, Cristo tra Pietro e Paolo al centro del Collegio Apostolico. Nel caso del sarcofago Borghese nel gruppo centrale è riprodotta la scena della Traditio Legis, mentre sul retro lo spazio centrale tra due pannelli strigliati è occupato dalla figura del Buon Pastore [Fig. 3C]. Al centro del retro del sarcofago del Museo Petriano, analogamente suddiviso, è invece raffigurata una scena di dextrarum iunctio [Fig. 2C]. Questa particolare iconografia, oggetto di un importante revival in età teodosiana (Bisconti, Reference Bisconti2000: 167),Footnote 20 nel caso specifico sembra richiamare l'enfasi posta nell'epitaffio di Probus sul suo matrimonio con Anicia Faltonia Proba quale momento fondamentale della sua consacrazione politica, il che fornisce un elemento importante a favore dell'attribuzione tradizionale.Footnote 21
All'apparato monumentale del mausoleo sono state ricondotte anche le basi di cinque statue onorarie dedicate a Probus e a sua moglie dai loro figli Anicius Probinus, Anicius Hermogenianus Olybrius e Anicius Probus, un tempo conservate nella collezione Cesi (Machado, Reference Machado, Brown and Lizzi Testa2011: 511–12; Reference Machado2019: 158–9).Footnote 22 Se ivi effettivamente collocate, le statue ne avrebbero amplificato il valore di memoriale di famiglia, dimostrandone la continuità di utilizzo, di fatto già comprovata dal ritrovamento di un secondo sarcofago monumentale al suo interno, e fornendo al contempo un appiglio per individuarne l'inaugurazione ufficiale nel 395, anno in cui Probinus e Olybrius furono insieme eletti consoli (Bagnall et al., Reference Bagnall, Cameron, Schwartz and Worp1987: 324–2).Footnote 23
L'entità del patrimonio di Probus, i cui possedimenti spaziavano dall'Italia suburbicaria all'Africa e ad altre regioni dell'impero ‘like the branches of a modern “multinational” company’ (Brown, Reference Brown2013: 22), permette di inquadrarne la scelta funeraria a ridosso della basilica di S. Pietro nella sua reale dimensione “universale”. Questa scelta dimostra il forte legame che univa gli esponenti dei più alti ranghi delle élites alla città di Roma e ai suoi nuovi punti di riferimento topografici individuati nelle tombe dei santi. A questo proposito, è stato recentemente notato come l'ormai tradizionale assenza delle esequie imperiali in città permettesse agli esponenti dell'aristocrazia di reclamare un protagonismo e una visibilità inedita per le proprie commemorazioni funebri, alle quali le grandi fondazioni pubbliche urbane e suburbane offrivano una ‘scena’ monumentale di massimo prestigio (Machado, Reference Machado2019: 148).
Per quanto riguarda la posizione del sepolcro, è evidente che il suo nobile isolamento suggerito nell'iconografia dell'Alfarano sia da considerarsi una forzatura artificiale non allineata alla realtà topografica dell'area. Nella stessa zona dovevano sorgere altri sepolcri tardoantichi attratti dalla basilica e, in seguito, anche dal mausoleo imperiale della dinastia teodosiana.Footnote 24 Com’è stato recentemente puntualizzato (Machado, Reference Machado2019: 835), è possibile che anche quest'area avesse tratto beneficio dalle operazioni di bonifica compiute qualche anno prima nell'ambito della costruzione del battistero voluto da papa Damaso, di cui è rimasta memoria in una nota iscrizione in caratteri filocaliani in cui si sottolinea l'importanza di liberare dalle infiltrazioni d'acqua le numerose tombe che trovavano posto nei dintorni.Footnote 25 L'interesse dell'aristocrazia cittadina verso l'intervento di Damaso è testimoniato da un'altra epigrafe in cui si celebra la sponsorizzazione della decorazione marmorea del battistero da parte di una clarissima femina di nome Anastasia e di suo marito, il cui nome non si è conservato.Footnote 26
D'altra parte, la precoce predilezione delle più alte sfere delle élites cittadine nei confronti della basilica di S. Pietro appare testimoniata dal ritrovamento, durante l'abbassamento del pavimento della Cappella Clementina a fine XVI secolo, del ben noto sarcofago di Iunius Bassus, praefectus Urbi morto in carica nel 359 [Fig. 4].Footnote 27 La posizione del ritrovamento davanti all'altare maggiore della basilica fu confermata con gli scavi moderni delle Grotte Vaticane, quando si rinvenne l'iscrizione posta in origine sull'alzata del coperchio del sarcofago, inzeppata in un ‘muro antico’ dietro alla parete sud della stessa cappella.Footnote 28 A prescindere dalla sua effettiva originaria collocazione,Footnote 29 anche a fronte della ben nota risonanza che il funus publicum del prefetto dovette esercitare sull'intera città,Footnote 30 sembra ragionevole immaginare che il suo sarcofago potesse essere lasciato ‘in vista’ per un certo periodo di tempo, all'interno della basilica o nel suo atrio, e solo successivamente essere tumulato nella sua definitiva sistemazione.Footnote 31
Un altro importante monumento funerario di un defunto che in vita raggiunse i vertici delle istituzioni è riconoscibile nel grande mausoleo posizionato a ridosso del deambulatorio della basilica Apostolorum sulla via Appia, noto col nome di ‘Platonia’, tradizionalmente legato alla presunta temporanea traslazione dei corpi dei Ss. Pietro e Paolo e riconosciuto come l'antico luogo di culto del martire Quirino di Siscia (Nieddu, Reference Nieddu, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2006a; Reference Nieddu2008a; Reference Nieddu2009: 212–56) [Fig. 5]. Al centro del mausoleo è stata individuata una tomba a volta bisoma, dipinta, da riferirsi al suo fondatore (Nieddu, Reference Nieddu2005/2006; Reference Nieddu2009: 224–36, 252–4) [Fig. 6],Footnote 32 in cui si è proposto di riconoscere Viventius, vir clarissimus, nativo della Pannonia (originario, in particolare, della stessa città di Quirino), virtuoso esponente della nuova ‘aristocrazia di servizio’ alla corte del suo conterraneo Valentiniano I.Footnote 33 Di lui è noto che si trasferì a Roma in seguito alla sua adlectio in senato, in ottemperanza alle disposizioni imperiali in materia.Footnote 34 Qui, intorno al 365–366, ricoprì la carica di praefectus Urbi, trovandosi a gestire i disordini legati all'elezione di papa Damaso, che tutelò sedando i tafferugli provocati dagli Ursiniani.Footnote 35 Sebbene poi, verso il 367, fosse stato insignito della prefettura del Pretorio delle Gallie e dovesse lasciare Roma per raggiungere Valentiniano a Treviri, egli dovette comunque mantenere un forte legame con la città e i suoi santuari al punto da predisporre ivi la propria sepoltura.
L'identificazione della sua tomba nel mausoleo dell'Appia è basata essenzialmente sul ritrovamento in situ, di sotto del suo piano pavimentale, di un sarcofago a cassa liscia che riporta il lungo epitaffio della virgo Dei Maximilla e di sua madre Nunita, deposte nel 389 in quel luogo su concessione della figlia dello stesso Viventius, la clarissima femina Lucceia, la quale poteva evidentemente disporre a proprio piacimento dello spazio funerario all'interno del sepolcro della sua famiglia [Fig. 7].Footnote 36
Sembra plausibile che lo stesso Viventius possa aver gestito la traslazione a Roma delle reliquie del proprio concittadino martire, a cui potrebbero corrispondere i resti ossei conservati in due cassette marmoree sigillate ritrovate in situ a ridosso della sua tomba (Nieddu, Reference Nieddu2009: 228, 231–6, 253), secondo una dinamica, quella di dotare di reliquie il proprio sepolcro, attestata in alcuni casi estremamente privilegiati nell’Orbis Christianus.Footnote 37 Questa operazione, che implica evidentemente una concessione da parte dell'autorità ecclesiastica, sottintenderebbe una particolare benevolenza della Chiesa di Roma per l’ex prefectus Urbi (nonché i suoi ottimi rapporti con la Chiesa d'origine),Footnote 38 e potrebbe rappresentare una prova materiale della riconoscenza che lo stesso Damaso doveva provare nei suoi confronti a seguito dei fatti del 366. Il coinvolgimento del papa nell'autorizzare la realizzazione del mausoleo–santuario potrebbe trovare una prova nel rinvenimento, nell'ambito del monumento, di diversi frammenti di una o più iscrizioni in caratteri filocaliani, che il luogo di conservazione permette di ricollegare ad un eventuale carmen in onore di Quirino non altrimenti noto.Footnote 39 Oltre a nobilitare enormemente la tomba dell'aristocratico, le reliquie del martire pannonico contrassegnarono sulla lunga durata l'intero luogo da un punto di vista identitario e ‘nazionale’,Footnote 40 fungendo da volano per questo culto al di fuori dei confini dell'Illiricum e diventandone ben presto il santuario principale.Footnote 41
Il mausoleo di Viventius conserva alcune particolarità significative che mostrano delle singolari assonanze con l'immagine del mausoleo di Petronius Probus tramandata nella descrizione di Maffeo Vegio (cf. supra). Dei due edifici spiccano, in particolare, la monumentalità dell'impianto e la corrispondenza nella posizione privilegiata a ridosso delle absidi delle due basiliche del Vaticano e della via Appia. Inoltre, anche nel mausoleo di Viventius trovava posto una lunga iscrizione metrica, che, in questo caso, era dipinta lungo tutto il perimetro interno dell'edificio, nella fascia sottostante l'imposta della volta.Footnote 42 L'iscrizione, sebbene non giudicabile nella sua interezza, si riferiva al culto del martire in quel luogo e, presumibilmente, alla fondazione dello stesso santuario in suo onore (Nieddu, Reference Nieddu2009: 249–51). Sebbene sia comprovato che essa sia ricollegabile ad una seconda fase del monumento, nella quale fu creata una fascia di arcosoli addossati al suo perimetro interno quali nuovi spazi sepolcrali estremamente privilegiati, non sembra improbabile che l'io narrante in essa ricordato sia stato lo stesso Viventius, che si presentava in qualità di (già defunto?) pater familias,Footnote 43 proprietario del sepolcro e, parimenti, vero fondatore del santuario. Sembra inoltre plausibile attribuire all'ignota moglie di Viventius il secondo posto disponibile nella tomba bisoma rinvenuta al centro del mausoleo, secondo una prassi comune tra i coniugi e sulla base dell'esempio diretto della celebre Anicia Faltonia Proba, moglie di Probus, protagonista della gestione delle onoranze funebri del marito e, in seguito, con lui sepolta nel suo stesso sarcofago.Footnote 44
A fronte di questi esempi in cui l'elevatissima posizione sociale dei defunti appare direttamente proporzionale al prestigio dei loro sepolcri, nelle catacombe di Roma si conservano alcune tombe appartenenti a personaggi di rango senatorio ed equestre che mostrano una particolare varietà nelle soluzioni adottate. Tra queste si distinguono alcune tombe poste in cubicoli più o meno monumentali, a riprova dell'importanza di questo tipo di ambienti rispetto alle soluzioni comunitarie tipiche dei cimiteri ipogei (Nuzzo, Reference Nuzzo, de Vingo, Marano and Pinar Gil2021: 281–82).Footnote 45 Particolarmente indicative appaiono le sepolture dei tre giovanissimi fratelli Aurelius,Footnote 46 Florentius Domitius MarinianusFootnote 47 e Atronius Fidelicus,Footnote 48 equites Romani, deposti in tre sarcofagi sistemati, insieme con un'altra cassa anepigrafe,Footnote 49 nel più importante cubicolo della catacomba di Novaziano (Ma) [Figs 8–9]. Il cubicolo è posto alla periferia nord–est della catacomba, in un ampliamento di età costantiniana del suo nucleo originario (Rocco, Reference Rocco, Fiocchi Nicolai and Guyon2006: 230, fig. 11). Esso appare decisamente eccezionale rispetto al carattere generale del cimitero, improntato, soprattutto inizialmente, su soluzioni sepolcrali (ed epigrafiche) che prediligono un carattere egualitario e particolarmente modesto delle sepolture (Rocco, Reference Rocco, Fiocchi Nicolai and Guyon2006: 227, 229–31, 234). Rispetto agli unici altri quattro cubicoli presenti nella catacomba, che mostrano un semplice impianto quadrangolare, quello degli equites era originariamente configurato a triconco, secondo un classico impianto planimetrico desunto dalle architetture di prestigio del sopraterra [Fig. 8]. I quattro sarcofagi, posti in origine nelle nicchie parietali,Footnote 50 sono tipici prodotti di bottega non realizzati su commissione specifica. A tal proposito si nota che il sarcofago di Atronius Fidelicus, come anche quello anepigrafe, presenta delle dimensioni più idonee alla sepoltura di un adulto rispetto che a quella di un bambino di neanche nove anni (la cassa è lunga 1,75 metri), risultando più grande rispetto ai due esemplari riservati ai suoi fratelli (lunghi 1,36 e 1,43 metri). Solo i ritratti dei fanciulli in essi contenuti, oltre ovviamente alle iscrizioni, furono realizzati ad hoc. Tra questi, Florentius Domitius Marinianus è rappresentato in abiti militari, attestazione alquanto rara nel caso di un infante ma del tutto in linea con la sua appartenenza all'ordine equestre (Studer-Karlen, Reference Studer–Karlen, Gusi i Jener, Muriel and Olaria Puyoles2008, 561; Studer-Karlen, Reference Studer–Karlen2012: n. 47f, figg. 40–1) [Fig. 9B].
Un esempio molto simile a quello di Novaziano può essere riconosciuto nel celebre cubicolo ADa della catacomba di Pretestato (Spera, Reference Spera2004: 125–32) [Fig. 10], in cui si rinvennero le tombe di tre giovani fratelli di rango senatorio: Flavius Insteius Cilo, sepolto in un sarcofago,Footnote 51 Clodius Insteius Flavius, sepolto in un loculo parietale (ICVR V 14132) e Virius Iulianus, sepolto in una tomba pavimentale (ICVR V 14718). Insieme ai tre furono sepolte anche la clarissima femina Quinta Mamilia Titiana, deposta in un loculo (ICVR V 14445), e la clarissima puella Curtia Catiana, deposta in un sarcofago.Footnote 52 Inoltre, al di sopra del sarcofago di quest'ultima, in un loculo formato dalla giustapposizione di lastre marmoree, fu sepolta la giovane Κλαυδιανὴ, il cui nome, nel suo epitaffio conservato ancora in situ, non è corredato da alcuna formula di rango (ICVR V 15058).
Se il legame famigliare tra i tre fratelli appare sicuro,Footnote 53 non si hanno elementi utili per riconoscerne l'eventuale parentela con la donna e le due fanciulle. Esse furono forse originarie di altre famiglie aristocratiche, secondo un'interpretazione “metafamigliare” nella fruizione del cubicolo proposta fin dalla sua scoperta (Josi, Reference Josi1936; Spera, Reference Spera2004: 125–32).Footnote 54 Oppure, più semplicemente, il loro rapporto con la famiglia di origine non risulta tracciabile seguendo l'analisi delle loro forme nominali.
Il cubicolo è posto nella parte nord–ovest della regione della Spelunca Magna, ben nota per le sue architetture monumentali e una fruizione generalmente privilegiata. Le sepolture dei clarissimi nel cubicolo sono pertinenti alla sua prima fase di utilizzo, databile ai primi decenni del IV secolo (Spera, Reference Spera2004: 17). Spicca, in particolare, la varietà delle soluzioni funerarie da essi adottate, tra cui compaiono anche semplici loculi. I due piccoli sarcofagi, comuni prodotti seriali, presentano anch'essi due sistemazioni notevolmente differenti. Quello di Curtia Catiana fu collocato in vista, in una nicchia ricavata tra i piedritti (ora reintegrati con muratura moderna) di un arcone; l'esemplare appartenente a Flavius Insteius Cilo fu invece inserito in una fossa scavata nel piano pavimentale. Su entrambi trovano posto i ritratti in cui sono riconoscibili i due giovani defunti, anche se quello di Curtia Catiana appare come una rappresentazione del tutto stereotipata di un bambino in tunica e pallio all'interno di un clipeo. Flavius Insteius Cilo è invece rappresentato stante, nel gesto dell’adlocutio, e con indosso la toga, un attributo raro nelle rappresentazioni di bambini ma che ben si addice alla sua appartenenza all'ordine senatorio (Dresken-Weiland, Reference Dresken-Weiland2003: 84; Studer–Karlen, Reference Studer–Karlen, Gusi i Jener, Muriel and Olaria Puyoles2008: 561) [Fig. 11A–B]. Significative appaiono anche le due figure incise ai lati dell'epigrafe di Κλαυδιανὴ (una donna seduta in cattedra, a destra, e un'altra più giovane in piedi, nell'atto di leggere un volumen svolto, a sinistra, in cui è riconoscibile la stessa defunta), protagoniste di una scena di lettura che richiama il tipico sistema di valori culturali generalmente condiviso dalle élites tardoantiche (Proverbio, Reference Proverbio, Bisconti and Banconi2013: 161) [Fig. 11C].
La pertinenza di un intero cubicolo, almeno nel suo primo impianto, a dei membri delle classi senatoria ed equestre, può essere riconosciuta anche nei casi, pressoché analoghi tra loro, del cubicolo Di della Regione di Gaio ed Eusebio, nella catacomba di Callisto,Footnote 55 e del cubicolo 44 (Cc) della Regio III della catacomba di S. Agnese (Barbini, Reference Barbini, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2001). Nei loro rispettivi arcosoli principali, posti in asse con gli ingressi, furono sepolte la clarissima femina Antonia LeontisFootnote 56 e la moglie del vir perfectissimus Flavius Eunomus, Aurelia Elias.Footnote 57 In parallelo, tra gli sporadici esempi epigrafici che permettono di riconoscere i nomi dei titolari di alcuni degli innumerevoli cubicoli delle catacombe romane, spiccano i celebri casi del diacono Severus, nella stessa Regione di Gaio ed Eusebio a Callisto, datato quasi ad annum tra 296 e 304,Footnote 58 e quello dell’Officialis Annonae Leo a Commodilla, databile nell'ultimo ventennio del IV secolo,Footnote 59 che dimostrano come la giurisdizione su questo tipo di ambienti potesse spettare anche a personalità più o meno di spicco delle gerarchie ecclesiastiche, oppure a membri subalterni dell'apparato burocratico statale.
Altre sepolture, più ‘semplici’, potevano essere decisamente ‘in vista’ anche se non posizionate in contesti ‘privati’ e famigliari, come nel caso dell'arcosolio dipinto di proprietà di un anonimo vir perfectissimus che si conserva nella galleria matrice (C4) della regione C della catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana (Deckers, Seeliger e Mietke, Reference Deckers, Seeliger and Mietke1987: n. 2, 199; Guyon, Reference Guyon1987: 297–8) [Fig. 12]. Tale galleria traeva origine da una scala aperta direttamente nel piano pavimentale del deambulatorio della grande basilica costantiniana del sopratterra, in modo da favorirne un collegamento diretto con la catacomba (Guyon, Reference Guyon1987: 294–8, figg. 180–1). L'arcosolio, posto a solo una decina di metri dalla scala, presentava sulla fronte un'articolata iscrizione dipinta in lettere bianche su sfondo rosso entro una tabula securiclata sorretta da due eroti.Footnote 60 Nell'iscrizione, seguendo l'interpretazione del de Rossi che poté vederla in uno stato decisamente migliore di come fu trovata in seguito dal Ferrua, si doveva leggere la dedica del vir perfectissimus alla madre defunta, il quale ne curò la sepoltura al suo rientro a Roma dopo una lunga assenza.Footnote 61 La profondità dell'arcosolio e, soprattutto, la presenza di diversi incassi per il fissaggio di lastre di chiusura intermedie, permettono di ipotizzarne un uso plurimo, evidentemente famigliare.Footnote 62 Si può quindi presumere che in seguito, insieme alla donna, al suo interno abbiano trovato sepoltura anche il vir perfectissimus e, possibilmente, altri suoi parenti.
Sembra opportuno segnalare che gli evidenti caratteri ‘privilegiati’ della tomba riferibile ai membri di questa anonima famiglia di rango equestre non siano da considerarsi come diretto effetto del loro status ma, con buona probabilità, semplicemente delle loro marcate (ma non per forza eccezionali) possibilità economiche. Di fronte all'arcosolio dell’eques, infatti, sull'altra parete della galleria, ne fu realizzato un altro speculare, identico al primo per forma e dimensioni ma senza alcuna decorazione pittorica né alcun elemento utile ad identificarne la titolarità. È evidente che i due arcosoli furono creati insieme dalle autorità di gestione del cimitero per essere venduti ai migliori offerenti a prescindere dal loro status, i quali ne avrebbero curato a piacimento e a proprie spese l'eventuale decorazione.Footnote 63
Un altro esempio ben conservato che riguarda la sepoltura di un membro dell'ordine equestre è rappresentato dalla tomba pavimentale del giovane Restutus, posta nella catacomba di Priscilla, sulla via Salaria Nova [Fig. 13].Footnote 64 Nella sua epigrafe in versi, dedicata dagli anonimi parentes et fratres, il suo status è espresso tramite una perifrasi.Footnote 65 La tomba si trova all'estremità ovest della corta galleria a15 (nella pianta di Tolotti, Reference Tolotti1970) nella regione dell'Arenario Centrale,Footnote 66 negli immediati dintorni di un grande lucernario e non lontana dal celebre cubicolo dell'Annunciazione, spostata su un lato rispetto al passaggio e seminascosta dalla bassa piattabanda di rinforzo di una delle grandi nicchie parietali ivi presenti.
Alcune situazioni, in qualche modo sorprendenti, rivelano infatti che, nelle catacombe, i membri delle élites potevano scegliere di essere sepolti in semplici tombe senza alcuna caratteristica di privilegio evidente. Spiccano in questo senso alcuni semplici loculi posizionati in regioni ad inumazione per lo più ‘indifferenziata’, come quelli delle clarissimae feminae Pontia Privata, posto in un diverticolo di una galleria di un'area marginale della stessa Regione dell'Arenario della catacomba di Priscilla (A13), e Cassia Faretria, nel primo piano del cimitero di Callisto (galleria S1), entrambi databili entro la prima metà del IV secolo [Fig. 14A–B].Footnote 67 Si segnala, inoltre, il caso della sepoltura del vir egregius Caelius Felicissimus, deposto nei primi anni del secolo in un loculo del Cimitero Maggiore sulla via Nomentana da sua moglie, la clarissima femina Luria Ianuaria,Footnote 68 che, tra l'altro, rappresenta un'attestazione del noto fenomeno dei matrimoni ‘diseguali’ tra individui di rango equestre e donne di classe senatoria (Alföldy, Reference Alföldy1981: 194–8; Nasti, Reference Nasti, Cascione and Masi Doria2007; Demougin, Reference Demougin, Caldelli and Gregori2014) [Fig. 14C]. Il loculo si trova in una galleria della regione B (B5), sviluppata a partire da una delle due scale originarie della catacomba (Nieddu, Reference Nieddu, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2006b). Non lontano dalla tomba del vir egregius è stata ritrovata in frammenti un'epigrafe appartenente ad una certa Caelia Viria, da ritenersi probabilmente sua figlia, che doveva occupare un loculo non lontano.Footnote 69 Se confermato, tale legame dimostrerebbe la particolare affezione per questo settore della catacomba da parte di diversi membri di una famiglia di rango equestre, ivi sepolti insieme a molti altri defunti di parentela ed estrazione sociale ignote.
I casi presentati offrono una panoramica assai variegata delle opzioni funerarie delle élites senatoria ed equestre nel IV secolo e, allo stesso tempo, invitano ad una riflessione nell'approccio al tema della ‘sepoltura di prestigio’. Tra i vari sepolcri analizzati, è evidente che i mausolei di Sextus Claudius Petronius Probus a S. Pietro e di Viventius presso la basilica Apostolorum appaiano come delle eccezioni completamente ‘fuori scala’, in linea con l'assoluto prestigio raggiunto in vita dai loro titolari. Le altre attestazioni, invece, sembra che possano essere ricollegate a quell’élite cittadina di ‘medio rango’ generata dal clima di mobilità sociale tipico, in particolare, dell'età costantiniana, in cui si riconoscono, in un animato sottobosco di pubblici uffici, i membri di una classe di ‘nuovi’ clarissimi e di equites con aspirazioni al clarissimato, di sicuro numericamente molto consistente ma esponenzialmente meno rappresentata nelle fonti storiche rispetto ai membri del Senato e ai funzionari di più alto grado.Footnote 70 Le loro tombe conservate nelle catacombe offrono un articolato campionario in cui sono ravvisabili mentalità e intenti in equilibrio tra l'esibizionismo e l'autopromozione caratteristici delle classi socialmente abbienti e nuove tendenze indubbiamente condizionate dalla conversione al cristianesimo, come l'aspirazione verso la condivisione comunitaria degli spazi di sepoltura. A questo proposito comunque, le varie soluzioni adottate, e, tra queste, quelle che appaiono più 'semplici', sembra possano riflettere la necessità di adattarsi agli spazi precostituiti ed effettivamente a disposizione in una regione catacombale prediletta per svariate ragioni rispetto ad un'altra, piuttosto che essere lo specchio di presunte qualità morali professate in vita dai defunti, quali l'umiltà e la modestia notoriamente propagandate dai Padri della Chiesa e spesso considerate come fondamentali motivazioni alla base della scelta di tipologie sepolcrali particolarmente sobrie in questi contesti.Footnote 71 Negli esempi presentati, in linea generale, sono più o meno riconoscibili diversi elementi considerati comunemente come appannaggio delle ‘sepolture d’élite’, tra cui, come si è visto, la titolarità su interi cubicoli, l'uso di sarcofagi, la scelta di posizioni privilegiate, oppure la predilezione verso particolari forme di espressione, come l'uso dei carmina epigraphica. Ad ogni modo, questi elementi appaiono come degli indicatori di privilegio assai generici, da considerarsi propri di un ventaglio sociale molto più ampio e variegato rispetto alla conta degli esponenti delle due classi poste ai vertici della società romana, i cui sepolcri, nel IV secolo, possono restituire dei caratteri anche del tutto dissonanti rispetto ai parametri di prestigio tipici del panorama funerario tradizionale.
ABBREVIAZIONI
- AE
L'Année Epigraphique (1888–). Parigi, Presses universitaires de France.
- BAV
Biblioteca Apostolica Vaticana.
- BHL
Biblioteca Agiografica Latina antiquae et mediae aetatis (1898–9). Bruxelles, Società dei Bollandisti.
- Brill's New Pauly
Brill's New Pauly Online. Cancik H., Schneider H. (eds), Antiquity volumes ; Landfester M., Classical Tradition volumes. https://referenceworks.brillonline.com
- CIL
Corpus Inscriptionum Latinarum (1862–). Berlino, De Gruyter.
- CLE
Bücheler, F. (a cura di) (1895–7), Carmina Latina Epigraphica. Lommatzsch E. (a cura di) (1926) Supplementum. Leipzig, B.G. Teubner.
- CSEL
Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum. Berlino, De Gruyter.
- ED
Ferrua, A. (1942) Epigrammata Damasiana, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.
- Enciclopedia dei Papi
Treccani Enciclopedia dei Papi. Roma, Istituto della Enciclopedia italiana. https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Enciclopedia_dei_Papi
- ICVR
Inscriptiones Christianae Vrbis Romae septimo saeculo antiquiores, nova series (1922 ss.). Roma/Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.
- ILCV
Diehl, E. (1925–67) Inscriptiones Latinae Christianae Veteres I. Berlino, Weidmann.
- ILS
Dessau, H. (1892–1916) Inscriptiones Latinae Selectae. Berlino, Weidmann.
- L.P.
Duchesne, L. (a cura di) (1955–7) Le Liber Pontificalis: Texte, Introduction et Commentaire. 3 vols. Parigi, École française de Rome.
- LSA
The Last Statues of Antiquity database. University of Oxford. http://laststatues.classics.ox.ac.uk/
- PCBE 2
Pietri, C., Pietri, L. (eds), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, II. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313–604), 2 vols. Roma, École française de Rome.
- PIR
Prosopographia Imperii Romani saec. I. II. III (Klebs, E., Dessau, H., de Rohden, P. (eds) (1897–8) 1a edizione, pars I–III; Groag, E., Stein, A., Petersen, L., Wachtel, K., Eck, W., Heil, M., Heinrichs, J. (eds.) (1933–2015) 2a edizione: pars I–VIII). Berlino, De Gruyter.
- PLRE
Jones, A.H.M., Martindale, J.R., Morris, J. (eds) (1971–92) The Prosopography of the Later Roman Empire, 3 vols. Cambridge, Cambridge University Press.
- PPRET
Porena, P. (a cura di), PPRET Inscriptions. Inscriptions pertaining to the praetorian prefects from 284 to 395 AD. http://ppret-inscriptions.huma-num.fr
- Repertorium 1
Bovini, G. and Brandenburg, H. (1967) Repertorium der christlich-antiken Sarkophage I. Rom und Ostia. Wiesbaden, Franz Steiner Verlag.
- Repertorium 3
Christern-Briesenick, B. (2003) Repertorium der christlich-antiken Sarkophage III. Frankreich, Algerien, Tunesien. Mainz, Philipp von Zabern.