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STATUS E PRIVILEGIO IN ETÀ TARDOANTICA: CONSIDERAZIONI SUI SEPOLCRI DI ALCUNI ESPONENTI DELL'ARISTOCRAZIA DEL IV SECOLO A ROMA

Published online by Cambridge University Press:  22 November 2024

Abstract

Le pratiche funerarie delle élites tardoantiche a Roma rivelano un intreccio complesso tra status sociale e privilegio esibito nella sepoltura. Mentre i pregiudizi storiografici tradizionali hanno appiattito la forte eterogeneità interna alla classe dirigente dell'Impero tardoantico, un'analisi focalizzata sulle tombe riferibili ad individui specifici svela un quadro sfaccettato e permette di negarne definitivamente qualsivoglia concezione monolitica. L'epigrafia fornisce indicatori affidabili nella delineazione dello status sociale dei defunti, con formule riservate ai membri degli ordini senatorio ed equestre sulle cui tombe si concentra l'analisi proposta. Il mausoleo del celebre Sextus Claudius Petronius Probus incarna la grandiosità associata alle sepolture d’élite, mostrando tutti i caratteri di monumentalità tipici del periodo. Allo stesso modo, il mausoleo di Viventius, ex prefetto di Roma, riflette gli stretti legami tra gli aristocratici e i nuovi poli di attrazione cristiani del suburbio romano, possibilmente facilitati dal patrocinio diretto della Chiesa. Nel contempo, le catacombe rivelano pratiche di sepoltura diverse, con alcuni individui appartenenti ai due ordini maggiori della società romana sepolti in ambienti modesti, insieme a comuni defunti. Questi esempi sottolineano l'intricata relazione tra gerarchia sociale, costumi funerari e affiliazioni religiose tipici di Roma tardoantica.

The funerary practices of the elite in late-antique Rome reveal a complex intertwining of social status and privilege as manifested in burial. Whilst traditional historiographical prejudices have flattened out the strong internal differences of the ruling class in the late-antique empire, an analysis focused on tombs relating to specific individuals reveals a multifaceted picture and allows us to reject positively any monolithic concept. Epigraphy supplies reliable indicators in outlining the social status of the deceased, with formulae reserved for members of the senatorial and equestrian orders on whose tombs the proposed analysis concentrates. The mausoleum of the famous Sextus Claudius Petronius Probus embodies the grandeur associated with elite burial, displaying all of the characteristics of monumentality that are typical of the period. In the same way, the mausoleum of Viventius, former prefect of Rome, reflects the close ties between the aristocrats and the new Christian poles of attraction of the Roman suburb, possibly facilitated by the direct patronage of the Church. At the same time, the catacombs reveal different burial practices, with some individuals belonging to the two higher orders in Roman society buried in modest settings, alongside deceased commoners. These examples underline the complex relationship between social hierarchy, funerary practices and religious affiliations typical of late-antique Rome.

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La questione relativa alla sepoltura dei membri delle élites tardoantiche nell'Urbe non è mai stata indagata sistematicamente sotto il profilo archeologico,Footnote 1 il che si pone in aperta controtendenza rispetto al notevole sviluppo degli studi sull'aristocrazia del periodo.Footnote 2 Il fine del presente contributo è quello di proporre alcune riflessioni riguardo alla relazione tra status sociale e carattere più o meno privilegiato della sepoltura,Footnote 3 a partire dall'analisi di alcune tombe di individui di rango senatorio ed equestre databili al IV secolo e rintracciabili archeologicamente nel suburbio di Roma.Footnote 4

Lo studio delle sepolture delle élites tardoantiche risente generalmente dei preconcetti storiografici legati al fortunato tema delle ‘sepolture privilegiate’, spesso causa di interpretazioni arbitrarie dello status dei defunti. Nell'approccio a questo tema, data anche la necessità di creare delle sintesi diacroniche,Footnote 5 il complesso insieme delle élites tardoantiche dell'Urbe tende ad essere appiattito, in quanto individui ai vertici delle istituzioni della città e dell'impero sono spesso comparati a semplici funzionari statali in carriera, ad esponenti delle gerarchie ecclesiastiche o a individui genericamente abbienti inquadrabili nel vasto insieme delle cosiddette sub-élites.Footnote 6

Al contrario, un'analisi concentrata su un ambito cronologicamente ristretto e istituzionalmente noto, con un focus particolare sul rango effettivo dei proprietari delle varie sepolture in questione, restituisce un'immagine sicuramente più significativa del fenomeno. Lo studio delle varie evidenze di IV secolo permette di intravedere una particolare eterogeneità nelle scelte sepolcrali delle élites di Roma, che sembra rispecchiare, anche in ambito funerario, quel ben noto clima di gerarchizzazione, mobilità sociale e ‘trasformazione’ a cui fu soggetta l'aristocrazia in età tardoantica, minandone definitivamente qualsivoglia concezione monolitica.Footnote 7

Le epigrafi funerarie, sebbene a loro volta rappresentino documenti complessi,Footnote 8 possono fornire parametri identificativi affidabili nella valutazione dello status sociale dei propri titolari. Di norma, infatti, nei loro epitaffi come altrove, gli esponenti degli ordini senatorio ed equestre erano soliti identificarsi tramite alcune formule di rango a loro riservate: viri egregii, viri perfectissimi e viri eminentissimi (Brill's New Pauly: ss.vv. Vir egregius, Perfectissimus, Eminentissimus), per gli esponenti dell'ordine equestre; viri clarissimi, viri spectabiles e viri inlustres (Brill's New Pauly: ss.vv. Vir clarissimus, Spectabilis, Illustris vir), per i membri dell'ordine senatorio, così suddivisi secondo l'importanza della carica assunta (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1997: 266–7; Bruun, Reference Bruun, Edmondson and Bruun2018). Quest'ultima suddivisione subentrò intorno alla metà del IV secolo a causa dell'esponenziale ampliamento dell'ordine senatorio promosso, come si sa, in età costantiniana, nel quale confluirono ‘ex officio’ molti dei membri dell'ordine equestre.Footnote 9

La diffusione di queste formule permette, dunque, di identificare gli epitaffi di numerosi esponenti dei due ordines maggiori della società romana, la gran parte dei quali risultano essere individui sconosciuti ad altre fonti. Nei casi in cui queste epigrafi si conservino o siano state ritrovate in situ, è possibile riconoscere archeologicamente sepolture effettivamente appartenenti a personaggi inquadrabili a tale alto livello sociale, a prescindere dalla monumentalità e dalle possibili caratteristiche di prestigio esibite da tipologia sepolcrale e contesto.Footnote 10

Altre attestazioni epigrafiche, sicuramente più esigue, riguardano la sepoltura di defunti illustri di cui abbiamo precise informazioni prosopografiche. In questi casi si tratta, normalmente, di sepolture veramente eccezionali, appartenenti a individui posti al vertice della scala gerarchica del tempo, che forniscono un ottimo punto di partenza per questo tipo di analisi.

L'esempio forse più emblematico di questa categoria è rappresentato dalla sepoltura del celebre Sextus Claudius Petronius Probus, console nel 371 in coppia con l'imperatore Graziano e prefetto del Pretorio per ben quattro volte tra il 364 e il 383.Footnote 11 Così come il consolato fu tradizionalmente l'ufficio più prestigioso della carriera senatoria (Bagnall et al., Reference Bagnall, Cameron, Schwartz and Worp1987: 1–35; Sguaitamatti, Reference Sguaitamatti2012: 51–80), è ben noto che la prefettura del Pretorio, in particolare a partire dalle riforme di tale carica promosse da Costantino, rappresentasse una delle maggiori posizioni di potere all'interno dell'apparato burocratico dell'impero tardoantico (Porena, Reference Porena2003; Porena e Huck, Reference Porena and Huck2023).

Nel 1455 il lungo epitaffio di ProbusFootnote 12 fu visto e trascritto dall'umanista Maffeo Vegio, quando era ancora in situ in un imponente mausoleo posizionato direttamente a ridosso dell'abside della basilica di S. Pietro.Footnote 13 La descrizione del sepolcro fornita dall'umanista è l'unica testimonianza rimasta dell'importante monumento, coinvolto, poco dopo, nelle prime demolizioni legate al cantiere della nuova basilica.Footnote 14 La nostra conoscenza su di esso appare decisamente parziale, in quanto tale descrizione si dimostra ambigua su diversi importanti particolari, a partire dall'effettiva collocazione della lunga iscrizione in onore del defunto,Footnote 15 mentre anche la sua rappresentazione in forma di piccola basilica a tre navate, che compare nella celebre iconografia dell'antica S. Pietro di Tiberio Alfarano (Reference Alfarano1914: 52–3), è da considerarsi un'interpretazione non basata su incontrovertibili prove monumentali [Fig. 1].Footnote 16 Ad ogni modo, il testo del Vegio sembra affidabile almeno riguardo a tre elementi indicativi della facies tardoantica del sepolcro: la sua posizione, che appare privilegiatissima per la vicinanza alla tomba di S. Pietro; la grandezza, che riecheggia anche nell’incipit dell'epitaffio di Probus, dove ne viene rimarcato, in particolare, lo sviluppo in elevato;Footnote 17 infine, il decor interno, caratterizzato dall'uso di grandi colonne marmoree (Della Schiava, Reference Della Schiava2009: 110).Footnote 18

Fig. 1. Tiberio Alfarano, pianta dell'antica basilica di S. Pietro: la freccia indica il mausoleo di Sextus Claudius Petronius Probus (rielaborazione da http://saintpetersbasilica.org).

Durante la distruzione del sepolcro, al di sotto del suo piano pavimentale, furono recuperati due importanti sarcofagi: l'esemplare ‘a colonne’, oggi conservato nel Museo Petriano (Repertorium 1: n. 678, 277–8; Dresken-Weiland, Reference Dresken-Weiland2003: 118–19) [Fig. 2], ed il sarcofago ‘a porte di città’, entrato nella collezione Borghese e successivamente smembrato tra i Musei Capitolini e il Louvre (Repertorium 1: n. 829, 347–8; Repertorium 3: n. 428, 201; Metzger, Reference Metzger, Baratte and Metzger1985; e di recente, Giroire e Szewczyk, Reference Giroire and Szewczyk2022: n. 349, 436) [Fig. 3]. Il primo è considerato tradizionalmente il sarcofago dello stesso Probus su suggestione di Matteo Vegio, il quale fu testimone del suo ritrovamento al centro del mausoleo e del recupero, al suo interno, dei resti di un sudario in fili d'oro (Della Schiava, Reference Della Schiava2009: 111). Ambedue i sarcofagi, inquadrabili cronologicamente in età teodosiana, appaiono in linea con l'eccezionalità del sepolcro, sia per qualità dei rilievi che per dimensioni.Footnote 19 Dimitri Cascianelli (Reference Cascianelli, de Vingo, Marano and Gil2021: 107–8), contro l'interpretazione tradizionale, ha recentemente riproposto l'attribuzione a Probus del sarcofago della collezione Borghese già avanzata in passato (von Schoenebeck, Reference von Schoenebeck1935: 111–14), per via della tipologia e, soprattutto, per la rappresentazione di una scena ‘pubblica’ sul suo lato destro, in cui il defunto è ritratto tra i suoi funzionari nell'esercizio del suo ufficio [Fig. 3B]. Entrambi i sarcofagi presentano, sulla fronte, Cristo tra Pietro e Paolo al centro del Collegio Apostolico. Nel caso del sarcofago Borghese nel gruppo centrale è riprodotta la scena della Traditio Legis, mentre sul retro lo spazio centrale tra due pannelli strigliati è occupato dalla figura del Buon Pastore [Fig. 3C]. Al centro del retro del sarcofago del Museo Petriano, analogamente suddiviso, è invece raffigurata una scena di dextrarum iunctio [Fig. 2C]. Questa particolare iconografia, oggetto di un importante revival in età teodosiana (Bisconti, Reference Bisconti2000: 167),Footnote 20 nel caso specifico sembra richiamare l'enfasi posta nell'epitaffio di Probus sul suo matrimonio con Anicia Faltonia Proba quale momento fondamentale della sua consacrazione politica, il che fornisce un elemento importante a favore dell'attribuzione tradizionale.Footnote 21

Fig. 2. Sarcofago tradizionalmente attribuito a Sextus Claudius Petronius Probus, ritrovato al centro del suo mausoleo presso la basilica di S. Pietro: fronte (A), lati (B) e retro (C) (da Repertorium 1).

Fig. 3. Sarcofago ritrovato durante la distruzione del mausoleo di Sextus Claudius Petronius Probus presso la basilica di S. Pietro: fronte (A), lati (B) e retro (C) (da Metzger, Reference Metzger, Baratte and Metzger1985; Repertorium 1).

All'apparato monumentale del mausoleo sono state ricondotte anche le basi di cinque statue onorarie dedicate a Probus e a sua moglie dai loro figli Anicius Probinus, Anicius Hermogenianus Olybrius e Anicius Probus, un tempo conservate nella collezione Cesi (Machado, Reference Machado, Brown and Lizzi Testa2011: 511–12; Reference Machado2019: 158–9).Footnote 22 Se ivi effettivamente collocate, le statue ne avrebbero amplificato il valore di memoriale di famiglia, dimostrandone la continuità di utilizzo, di fatto già comprovata dal ritrovamento di un secondo sarcofago monumentale al suo interno, e fornendo al contempo un appiglio per individuarne l'inaugurazione ufficiale nel 395, anno in cui Probinus e Olybrius furono insieme eletti consoli (Bagnall et al., Reference Bagnall, Cameron, Schwartz and Worp1987: 324–2).Footnote 23

L'entità del patrimonio di Probus, i cui possedimenti spaziavano dall'Italia suburbicaria all'Africa e ad altre regioni dell'impero ‘like the branches of a modern “multinational” company’ (Brown, Reference Brown2013: 22), permette di inquadrarne la scelta funeraria a ridosso della basilica di S. Pietro nella sua reale dimensione “universale”. Questa scelta dimostra il forte legame che univa gli esponenti dei più alti ranghi delle élites alla città di Roma e ai suoi nuovi punti di riferimento topografici individuati nelle tombe dei santi. A questo proposito, è stato recentemente notato come l'ormai tradizionale assenza delle esequie imperiali in città permettesse agli esponenti dell'aristocrazia di reclamare un protagonismo e una visibilità inedita per le proprie commemorazioni funebri, alle quali le grandi fondazioni pubbliche urbane e suburbane offrivano una ‘scena’ monumentale di massimo prestigio (Machado, Reference Machado2019: 148).

Per quanto riguarda la posizione del sepolcro, è evidente che il suo nobile isolamento suggerito nell'iconografia dell'Alfarano sia da considerarsi una forzatura artificiale non allineata alla realtà topografica dell'area. Nella stessa zona dovevano sorgere altri sepolcri tardoantichi attratti dalla basilica e, in seguito, anche dal mausoleo imperiale della dinastia teodosiana.Footnote 24 Com’è stato recentemente puntualizzato (Machado, Reference Machado2019: 835), è possibile che anche quest'area avesse tratto beneficio dalle operazioni di bonifica compiute qualche anno prima nell'ambito della costruzione del battistero voluto da papa Damaso, di cui è rimasta memoria in una nota iscrizione in caratteri filocaliani in cui si sottolinea l'importanza di liberare dalle infiltrazioni d'acqua le numerose tombe che trovavano posto nei dintorni.Footnote 25 L'interesse dell'aristocrazia cittadina verso l'intervento di Damaso è testimoniato da un'altra epigrafe in cui si celebra la sponsorizzazione della decorazione marmorea del battistero da parte di una clarissima femina di nome Anastasia e di suo marito, il cui nome non si è conservato.Footnote 26

D'altra parte, la precoce predilezione delle più alte sfere delle élites cittadine nei confronti della basilica di S. Pietro appare testimoniata dal ritrovamento, durante l'abbassamento del pavimento della Cappella Clementina a fine XVI secolo, del ben noto sarcofago di Iunius Bassus, praefectus Urbi morto in carica nel 359 [Fig. 4].Footnote 27 La posizione del ritrovamento davanti all'altare maggiore della basilica fu confermata con gli scavi moderni delle Grotte Vaticane, quando si rinvenne l'iscrizione posta in origine sull'alzata del coperchio del sarcofago, inzeppata in un ‘muro antico’ dietro alla parete sud della stessa cappella.Footnote 28 A prescindere dalla sua effettiva originaria collocazione,Footnote 29 anche a fronte della ben nota risonanza che il funus publicum del prefetto dovette esercitare sull'intera città,Footnote 30 sembra ragionevole immaginare che il suo sarcofago potesse essere lasciato ‘in vista’ per un certo periodo di tempo, all'interno della basilica o nel suo atrio, e solo successivamente essere tumulato nella sua definitiva sistemazione.Footnote 31

Fig. 4. Fronte del sarcofago di Iunius Bassus, praefectus Urbi morto in carica nel 359 (da Repertorium 1).

Un altro importante monumento funerario di un defunto che in vita raggiunse i vertici delle istituzioni è riconoscibile nel grande mausoleo posizionato a ridosso del deambulatorio della basilica Apostolorum sulla via Appia, noto col nome di ‘Platonia’, tradizionalmente legato alla presunta temporanea traslazione dei corpi dei Ss. Pietro e Paolo e riconosciuto come l'antico luogo di culto del martire Quirino di Siscia (Nieddu, Reference Nieddu, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2006a; Reference Nieddu2008a; Reference Nieddu2009: 212–56) [Fig. 5]. Al centro del mausoleo è stata individuata una tomba a volta bisoma, dipinta, da riferirsi al suo fondatore (Nieddu, Reference Nieddu2005/2006; Reference Nieddu2009: 224–36, 252–4) [Fig. 6],Footnote 32 in cui si è proposto di riconoscere Viventius, vir clarissimus, nativo della Pannonia (originario, in particolare, della stessa città di Quirino), virtuoso esponente della nuova ‘aristocrazia di servizio’ alla corte del suo conterraneo Valentiniano I.Footnote 33 Di lui è noto che si trasferì a Roma in seguito alla sua adlectio in senato, in ottemperanza alle disposizioni imperiali in materia.Footnote 34 Qui, intorno al 365–366, ricoprì la carica di praefectus Urbi, trovandosi a gestire i disordini legati all'elezione di papa Damaso, che tutelò sedando i tafferugli provocati dagli Ursiniani.Footnote 35 Sebbene poi, verso il 367, fosse stato insignito della prefettura del Pretorio delle Gallie e dovesse lasciare Roma per raggiungere Valentiniano a Treviri, egli dovette comunque mantenere un forte legame con la città e i suoi santuari al punto da predisporre ivi la propria sepoltura.

Fig. 5. Pianta della basilica Apostolorum sulla via Appia: la freccia indica il mausoleo attribuito a Viventius, praefectus Urbi nel 365–366 circa (rielaborazione da Nieddu, Reference Nieddu2009).

Fig. 6. Tomba bisoma attribuita a Viventius, praefectus Urbi nel 365–366 circa: sezione ovest–est (A), schema assonometrico (B) (rielaborazioni da Nieddu, Reference Nieddu2009).

L'identificazione della sua tomba nel mausoleo dell'Appia è basata essenzialmente sul ritrovamento in situ, di sotto del suo piano pavimentale, di un sarcofago a cassa liscia che riporta il lungo epitaffio della virgo Dei Maximilla e di sua madre Nunita, deposte nel 389 in quel luogo su concessione della figlia dello stesso Viventius, la clarissima femina Lucceia, la quale poteva evidentemente disporre a proprio piacimento dello spazio funerario all'interno del sepolcro della sua famiglia [Fig. 7].Footnote 36

Fig. 7. Sarcofago della virgo Dei Maximilla e di sua madre Nunita, sepolte nel 389 all'interno del mausoleo di Viventius (da Nieddu, Reference Nieddu2009).

Sembra plausibile che lo stesso Viventius possa aver gestito la traslazione a Roma delle reliquie del proprio concittadino martire, a cui potrebbero corrispondere i resti ossei conservati in due cassette marmoree sigillate ritrovate in situ a ridosso della sua tomba (Nieddu, Reference Nieddu2009: 228, 231–6, 253), secondo una dinamica, quella di dotare di reliquie il proprio sepolcro, attestata in alcuni casi estremamente privilegiati nell’Orbis Christianus.Footnote 37 Questa operazione, che implica evidentemente una concessione da parte dell'autorità ecclesiastica, sottintenderebbe una particolare benevolenza della Chiesa di Roma per l’ex prefectus Urbi (nonché i suoi ottimi rapporti con la Chiesa d'origine),Footnote 38 e potrebbe rappresentare una prova materiale della riconoscenza che lo stesso Damaso doveva provare nei suoi confronti a seguito dei fatti del 366. Il coinvolgimento del papa nell'autorizzare la realizzazione del mausoleo–santuario potrebbe trovare una prova nel rinvenimento, nell'ambito del monumento, di diversi frammenti di una o più iscrizioni in caratteri filocaliani, che il luogo di conservazione permette di ricollegare ad un eventuale carmen in onore di Quirino non altrimenti noto.Footnote 39 Oltre a nobilitare enormemente la tomba dell'aristocratico, le reliquie del martire pannonico contrassegnarono sulla lunga durata l'intero luogo da un punto di vista identitario e ‘nazionale’,Footnote 40 fungendo da volano per questo culto al di fuori dei confini dell'Illiricum e diventandone ben presto il santuario principale.Footnote 41

Il mausoleo di Viventius conserva alcune particolarità significative che mostrano delle singolari assonanze con l'immagine del mausoleo di Petronius Probus tramandata nella descrizione di Maffeo Vegio (cf. supra). Dei due edifici spiccano, in particolare, la monumentalità dell'impianto e la corrispondenza nella posizione privilegiata a ridosso delle absidi delle due basiliche del Vaticano e della via Appia. Inoltre, anche nel mausoleo di Viventius trovava posto una lunga iscrizione metrica, che, in questo caso, era dipinta lungo tutto il perimetro interno dell'edificio, nella fascia sottostante l'imposta della volta.Footnote 42 L'iscrizione, sebbene non giudicabile nella sua interezza, si riferiva al culto del martire in quel luogo e, presumibilmente, alla fondazione dello stesso santuario in suo onore (Nieddu, Reference Nieddu2009: 249–51). Sebbene sia comprovato che essa sia ricollegabile ad una seconda fase del monumento, nella quale fu creata una fascia di arcosoli addossati al suo perimetro interno quali nuovi spazi sepolcrali estremamente privilegiati, non sembra improbabile che l'io narrante in essa ricordato sia stato lo stesso Viventius, che si presentava in qualità di (già defunto?) pater familias,Footnote 43 proprietario del sepolcro e, parimenti, vero fondatore del santuario. Sembra inoltre plausibile attribuire all'ignota moglie di Viventius il secondo posto disponibile nella tomba bisoma rinvenuta al centro del mausoleo, secondo una prassi comune tra i coniugi e sulla base dell'esempio diretto della celebre Anicia Faltonia Proba, moglie di Probus, protagonista della gestione delle onoranze funebri del marito e, in seguito, con lui sepolta nel suo stesso sarcofago.Footnote 44

A fronte di questi esempi in cui l'elevatissima posizione sociale dei defunti appare direttamente proporzionale al prestigio dei loro sepolcri, nelle catacombe di Roma si conservano alcune tombe appartenenti a personaggi di rango senatorio ed equestre che mostrano una particolare varietà nelle soluzioni adottate. Tra queste si distinguono alcune tombe poste in cubicoli più o meno monumentali, a riprova dell'importanza di questo tipo di ambienti rispetto alle soluzioni comunitarie tipiche dei cimiteri ipogei (Nuzzo, Reference Nuzzo, de Vingo, Marano and Pinar Gil2021: 281–82).Footnote 45 Particolarmente indicative appaiono le sepolture dei tre giovanissimi fratelli Aurelius,Footnote 46 Florentius Domitius MarinianusFootnote 47 e Atronius Fidelicus,Footnote 48 equites Romani, deposti in tre sarcofagi sistemati, insieme con un'altra cassa anepigrafe,Footnote 49 nel più importante cubicolo della catacomba di Novaziano (Ma) [Figs 89]. Il cubicolo è posto alla periferia nord–est della catacomba, in un ampliamento di età costantiniana del suo nucleo originario (Rocco, Reference Rocco, Fiocchi Nicolai and Guyon2006: 230, fig. 11). Esso appare decisamente eccezionale rispetto al carattere generale del cimitero, improntato, soprattutto inizialmente, su soluzioni sepolcrali (ed epigrafiche) che prediligono un carattere egualitario e particolarmente modesto delle sepolture (Rocco, Reference Rocco, Fiocchi Nicolai and Guyon2006: 227, 229–31, 234). Rispetto agli unici altri quattro cubicoli presenti nella catacomba, che mostrano un semplice impianto quadrangolare, quello degli equites era originariamente configurato a triconco, secondo un classico impianto planimetrico desunto dalle architetture di prestigio del sopraterra [Fig. 8]. I quattro sarcofagi, posti in origine nelle nicchie parietali,Footnote 50 sono tipici prodotti di bottega non realizzati su commissione specifica. A tal proposito si nota che il sarcofago di Atronius Fidelicus, come anche quello anepigrafe, presenta delle dimensioni più idonee alla sepoltura di un adulto rispetto che a quella di un bambino di neanche nove anni (la cassa è lunga 1,75 metri), risultando più grande rispetto ai due esemplari riservati ai suoi fratelli (lunghi 1,36 e 1,43 metri). Solo i ritratti dei fanciulli in essi contenuti, oltre ovviamente alle iscrizioni, furono realizzati ad hoc. Tra questi, Florentius Domitius Marinianus è rappresentato in abiti militari, attestazione alquanto rara nel caso di un infante ma del tutto in linea con la sua appartenenza all'ordine equestre (Studer-Karlen, Reference Studer–Karlen, Gusi i Jener, Muriel and Olaria Puyoles2008, 561; Studer-Karlen, Reference Studer–Karlen2012: n. 47f, figg. 40–1) [Fig. 9B].

Fig. 8. Cubicolo Ma della catacomba di Novaziano (planimetria ©Archivio PCAS).

Fig. 9. Sarcofagi dei fratelli Aurelius (A), Florentius Domitius Marinianus (B) e Atronius Fidelicus (C), equites Romani (da Repertorium 1).

Un esempio molto simile a quello di Novaziano può essere riconosciuto nel celebre cubicolo ADa della catacomba di Pretestato (Spera, Reference Spera2004: 125–32) [Fig. 10], in cui si rinvennero le tombe di tre giovani fratelli di rango senatorio: Flavius Insteius Cilo, sepolto in un sarcofago,Footnote 51 Clodius Insteius Flavius, sepolto in un loculo parietale (ICVR V 14132) e Virius Iulianus, sepolto in una tomba pavimentale (ICVR V 14718). Insieme ai tre furono sepolte anche la clarissima femina Quinta Mamilia Titiana, deposta in un loculo (ICVR V 14445), e la clarissima puella Curtia Catiana, deposta in un sarcofago.Footnote 52 Inoltre, al di sopra del sarcofago di quest'ultima, in un loculo formato dalla giustapposizione di lastre marmoree, fu sepolta la giovane Κλαυδιανὴ, il cui nome, nel suo epitaffio conservato ancora in situ, non è corredato da alcuna formula di rango (ICVR V 15058).

Fig. 10. Catacomba di Pretestato, settore occidentale della Spelunca Magna: la freccia indica il cubicolo Ada (stralcio planimetrico da Spera, Reference Spera2004).

Se il legame famigliare tra i tre fratelli appare sicuro,Footnote 53 non si hanno elementi utili per riconoscerne l'eventuale parentela con la donna e le due fanciulle. Esse furono forse originarie di altre famiglie aristocratiche, secondo un'interpretazione “metafamigliare” nella fruizione del cubicolo proposta fin dalla sua scoperta (Josi, Reference Josi1936; Spera, Reference Spera2004: 125–32).Footnote 54 Oppure, più semplicemente, il loro rapporto con la famiglia di origine non risulta tracciabile seguendo l'analisi delle loro forme nominali.

Il cubicolo è posto nella parte nord–ovest della regione della Spelunca Magna, ben nota per le sue architetture monumentali e una fruizione generalmente privilegiata. Le sepolture dei clarissimi nel cubicolo sono pertinenti alla sua prima fase di utilizzo, databile ai primi decenni del IV secolo (Spera, Reference Spera2004: 17). Spicca, in particolare, la varietà delle soluzioni funerarie da essi adottate, tra cui compaiono anche semplici loculi. I due piccoli sarcofagi, comuni prodotti seriali, presentano anch'essi due sistemazioni notevolmente differenti. Quello di Curtia Catiana fu collocato in vista, in una nicchia ricavata tra i piedritti (ora reintegrati con muratura moderna) di un arcone; l'esemplare appartenente a Flavius Insteius Cilo fu invece inserito in una fossa scavata nel piano pavimentale. Su entrambi trovano posto i ritratti in cui sono riconoscibili i due giovani defunti, anche se quello di Curtia Catiana appare come una rappresentazione del tutto stereotipata di un bambino in tunica e pallio all'interno di un clipeo. Flavius Insteius Cilo è invece rappresentato stante, nel gesto dell’adlocutio, e con indosso la toga, un attributo raro nelle rappresentazioni di bambini ma che ben si addice alla sua appartenenza all'ordine senatorio (Dresken-Weiland, Reference Dresken-Weiland2003: 84; Studer–Karlen, Reference Studer–Karlen, Gusi i Jener, Muriel and Olaria Puyoles2008: 561) [Fig. 11A–B]. Significative appaiono anche le due figure incise ai lati dell'epigrafe di Κλαυδιανὴ (una donna seduta in cattedra, a destra, e un'altra più giovane in piedi, nell'atto di leggere un volumen svolto, a sinistra, in cui è riconoscibile la stessa defunta), protagoniste di una scena di lettura che richiama il tipico sistema di valori culturali generalmente condiviso dalle élites tardoantiche (Proverbio, Reference Proverbio, Bisconti and Banconi2013: 161) [Fig. 11C].

Fig. 11. Sarcofagi del clarissimus puer Flavius Insteius Cilo (A) e della clarissima puella Curtia Catiana, (B) (da Repertorium 1); epigrafe di Κλαυδιανὴ (C) (da Proverbio, Reference Proverbio, Bisconti and Banconi2013).

La pertinenza di un intero cubicolo, almeno nel suo primo impianto, a dei membri delle classi senatoria ed equestre, può essere riconosciuta anche nei casi, pressoché analoghi tra loro, del cubicolo Di della Regione di Gaio ed Eusebio, nella catacomba di Callisto,Footnote 55 e del cubicolo 44 (Cc) della Regio III della catacomba di S. Agnese (Barbini, Reference Barbini, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2001). Nei loro rispettivi arcosoli principali, posti in asse con gli ingressi, furono sepolte la clarissima femina Antonia LeontisFootnote 56 e la moglie del vir perfectissimus Flavius Eunomus, Aurelia Elias.Footnote 57 In parallelo, tra gli sporadici esempi epigrafici che permettono di riconoscere i nomi dei titolari di alcuni degli innumerevoli cubicoli delle catacombe romane, spiccano i celebri casi del diacono Severus, nella stessa Regione di Gaio ed Eusebio a Callisto, datato quasi ad annum tra 296 e 304,Footnote 58 e quello dell’Officialis Annonae Leo a Commodilla, databile nell'ultimo ventennio del IV secolo,Footnote 59 che dimostrano come la giurisdizione su questo tipo di ambienti potesse spettare anche a personalità più o meno di spicco delle gerarchie ecclesiastiche, oppure a membri subalterni dell'apparato burocratico statale.

Altre sepolture, più ‘semplici’, potevano essere decisamente ‘in vista’ anche se non posizionate in contesti ‘privati’ e famigliari, come nel caso dell'arcosolio dipinto di proprietà di un anonimo vir perfectissimus che si conserva nella galleria matrice (C4) della regione C della catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana (Deckers, Seeliger e Mietke, Reference Deckers, Seeliger and Mietke1987: n. 2, 199; Guyon, Reference Guyon1987: 297–8) [Fig. 12]. Tale galleria traeva origine da una scala aperta direttamente nel piano pavimentale del deambulatorio della grande basilica costantiniana del sopratterra, in modo da favorirne un collegamento diretto con la catacomba (Guyon, Reference Guyon1987: 294–8, figg. 180–1). L'arcosolio, posto a solo una decina di metri dalla scala, presentava sulla fronte un'articolata iscrizione dipinta in lettere bianche su sfondo rosso entro una tabula securiclata sorretta da due eroti.Footnote 60 Nell'iscrizione, seguendo l'interpretazione del de Rossi che poté vederla in uno stato decisamente migliore di come fu trovata in seguito dal Ferrua, si doveva leggere la dedica del vir perfectissimus alla madre defunta, il quale ne curò la sepoltura al suo rientro a Roma dopo una lunga assenza.Footnote 61 La profondità dell'arcosolio e, soprattutto, la presenza di diversi incassi per il fissaggio di lastre di chiusura intermedie, permettono di ipotizzarne un uso plurimo, evidentemente famigliare.Footnote 62 Si può quindi presumere che in seguito, insieme alla donna, al suo interno abbiano trovato sepoltura anche il vir perfectissimus e, possibilmente, altri suoi parenti.

Fig. 12. Arcosolio di proprietà di un anonimo vir perfectissimus nella catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro, particolare della pittura sull'estradosso dell'arcone (da Deckers, Seeliger e Mietke, Reference Deckers, Seeliger and Mietke1987).

Sembra opportuno segnalare che gli evidenti caratteri ‘privilegiati’ della tomba riferibile ai membri di questa anonima famiglia di rango equestre non siano da considerarsi come diretto effetto del loro status ma, con buona probabilità, semplicemente delle loro marcate (ma non per forza eccezionali) possibilità economiche. Di fronte all'arcosolio dell’eques, infatti, sull'altra parete della galleria, ne fu realizzato un altro speculare, identico al primo per forma e dimensioni ma senza alcuna decorazione pittorica né alcun elemento utile ad identificarne la titolarità. È evidente che i due arcosoli furono creati insieme dalle autorità di gestione del cimitero per essere venduti ai migliori offerenti a prescindere dal loro status, i quali ne avrebbero curato a piacimento e a proprie spese l'eventuale decorazione.Footnote 63

Un altro esempio ben conservato che riguarda la sepoltura di un membro dell'ordine equestre è rappresentato dalla tomba pavimentale del giovane Restutus, posta nella catacomba di Priscilla, sulla via Salaria Nova [Fig. 13].Footnote 64 Nella sua epigrafe in versi, dedicata dagli anonimi parentes et fratres, il suo status è espresso tramite una perifrasi.Footnote 65 La tomba si trova all'estremità ovest della corta galleria a15 (nella pianta di Tolotti, Reference Tolotti1970) nella regione dell'Arenario Centrale,Footnote 66 negli immediati dintorni di un grande lucernario e non lontana dal celebre cubicolo dell'Annunciazione, spostata su un lato rispetto al passaggio e seminascosta dalla bassa piattabanda di rinforzo di una delle grandi nicchie parietali ivi presenti.

Fig. 13. Tomba pavimentale del giovane di rango equestre Restutus, nella catacomba di Priscilla (©Archivio Fotografico PCAS).

Alcune situazioni, in qualche modo sorprendenti, rivelano infatti che, nelle catacombe, i membri delle élites potevano scegliere di essere sepolti in semplici tombe senza alcuna caratteristica di privilegio evidente. Spiccano in questo senso alcuni semplici loculi posizionati in regioni ad inumazione per lo più ‘indifferenziata’, come quelli delle clarissimae feminae Pontia Privata, posto in un diverticolo di una galleria di un'area marginale della stessa Regione dell'Arenario della catacomba di Priscilla (A13), e Cassia Faretria, nel primo piano del cimitero di Callisto (galleria S1), entrambi databili entro la prima metà del IV secolo [Fig. 14A–B].Footnote 67 Si segnala, inoltre, il caso della sepoltura del vir egregius Caelius Felicissimus, deposto nei primi anni del secolo in un loculo del Cimitero Maggiore sulla via Nomentana da sua moglie, la clarissima femina Luria Ianuaria,Footnote 68 che, tra l'altro, rappresenta un'attestazione del noto fenomeno dei matrimoni ‘diseguali’ tra individui di rango equestre e donne di classe senatoria (Alföldy, Reference Alföldy1981: 194–8; Nasti, Reference Nasti, Cascione and Masi Doria2007; Demougin, Reference Demougin, Caldelli and Gregori2014) [Fig. 14C]. Il loculo si trova in una galleria della regione B (B5), sviluppata a partire da una delle due scale originarie della catacomba (Nieddu, Reference Nieddu, Fiocchi Nicolai, Cecere and Mari2006b). Non lontano dalla tomba del vir egregius è stata ritrovata in frammenti un'epigrafe appartenente ad una certa Caelia Viria, da ritenersi probabilmente sua figlia, che doveva occupare un loculo non lontano.Footnote 69 Se confermato, tale legame dimostrerebbe la particolare affezione per questo settore della catacomba da parte di diversi membri di una famiglia di rango equestre, ivi sepolti insieme a molti altri defunti di parentela ed estrazione sociale ignote.

Fig. 14. Loculo della clarissima femina Pontia Privata, nella catacomba di Priscilla (A); loculo della clarissima femina Cassia Faretria, nella catacomba di Callisto (B); loculo del vir egregius Caelius Felicissimus, nel cimitero Maggiore (C) (©Archivio Fotografico PCAS).

I casi presentati offrono una panoramica assai variegata delle opzioni funerarie delle élites senatoria ed equestre nel IV secolo e, allo stesso tempo, invitano ad una riflessione nell'approccio al tema della ‘sepoltura di prestigio’. Tra i vari sepolcri analizzati, è evidente che i mausolei di Sextus Claudius Petronius Probus a S. Pietro e di Viventius presso la basilica Apostolorum appaiano come delle eccezioni completamente ‘fuori scala’, in linea con l'assoluto prestigio raggiunto in vita dai loro titolari. Le altre attestazioni, invece, sembra che possano essere ricollegate a quell’élite cittadina di ‘medio rango’ generata dal clima di mobilità sociale tipico, in particolare, dell'età costantiniana, in cui si riconoscono, in un animato sottobosco di pubblici uffici, i membri di una classe di ‘nuovi’ clarissimi e di equites con aspirazioni al clarissimato, di sicuro numericamente molto consistente ma esponenzialmente meno rappresentata nelle fonti storiche rispetto ai membri del Senato e ai funzionari di più alto grado.Footnote 70 Le loro tombe conservate nelle catacombe offrono un articolato campionario in cui sono ravvisabili mentalità e intenti in equilibrio tra l'esibizionismo e l'autopromozione caratteristici delle classi socialmente abbienti e nuove tendenze indubbiamente condizionate dalla conversione al cristianesimo, come l'aspirazione verso la condivisione comunitaria degli spazi di sepoltura. A questo proposito comunque, le varie soluzioni adottate, e, tra queste, quelle che appaiono più 'semplici', sembra possano riflettere la necessità di adattarsi agli spazi precostituiti ed effettivamente a disposizione in una regione catacombale prediletta per svariate ragioni rispetto ad un'altra, piuttosto che essere lo specchio di presunte qualità morali professate in vita dai defunti, quali l'umiltà e la modestia notoriamente propagandate dai Padri della Chiesa e spesso considerate come fondamentali motivazioni alla base della scelta di tipologie sepolcrali particolarmente sobrie in questi contesti.Footnote 71 Negli esempi presentati, in linea generale, sono più o meno riconoscibili diversi elementi considerati comunemente come appannaggio delle ‘sepolture d’élite’, tra cui, come si è visto, la titolarità su interi cubicoli, l'uso di sarcofagi, la scelta di posizioni privilegiate, oppure la predilezione verso particolari forme di espressione, come l'uso dei carmina epigraphica. Ad ogni modo, questi elementi appaiono come degli indicatori di privilegio assai generici, da considerarsi propri di un ventaglio sociale molto più ampio e variegato rispetto alla conta degli esponenti delle due classi poste ai vertici della società romana, i cui sepolcri, nel IV secolo, possono restituire dei caratteri anche del tutto dissonanti rispetto ai parametri di prestigio tipici del panorama funerario tradizionale.

ABBREVIAZIONI

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Footnotes

1 Il tema non appare del tutto indagato neppure per la Roma primo e medio imperiale. Cf. ad esempio, per il II secolo, Borg, Reference Borg2019: 1–76.

2 Oltre ai fondamentali volumi della PIR e PLRE, al netto di una ricchissima bibliografia, CIL VI, pars VIII, fasc. III; Panciera, Reference Panciera1982; Brown, Reference Brown2000; Niquet, Reference Niquet2000; Salzman, Reference Salzman2002; Orlandi, Reference Orlandi2004; Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2006; Cameron, Reference Cameron2011; Brown, Reference Brown2013; Machado, Reference Machado, Lipps, Machado and Rummel2013; Caldelli, Gregori, Reference Caldelli and Gregori2014; Machado, Reference Machado2019; Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2022; Porena, Reference Porena2023.

3 Si riprende volutamente il focus tematico di un volume miscellaneo a cura di Kuhn, nel quale Eck (Reference Eck and Kuhn2015) si è soffermato sulle implicazioni del binomio ‘status-privilegio’ in ambito funerario attraverso l'analisi di alcuni sepolcri di età imperiale.

4 Nella sua totalità, la casistica qui presentata è desunta dall'ambito dei cimiteri collettivi cristiani (in particolare, chiese funerarie e catacombe). La ‘scelta obbligata’ di focalizzarsi sulle attestazioni cristiane è dovuta, sul piano archeologico, al ben noto problema della scarsità (se non totale mancanza) di attestazioni di monumenti funerari riferibili con certezza a individui non cristiani nel IV secolo, per cui si veda, tra gli altri, Vella, Reference Vella, Brandt and Nicolai2016; Couzin, Reference Couzin2019; Spera, Reference Sperac.s.

5 Per Roma, da ultimo, si veda il contributo di Nuzzo (Reference Nuzzo, de Vingo, Marano and Pinar Gil2021) negli Atti del convegno dedicato al tema tenuto a Pella nel 2017. Sulle sepolture di prestigio, si veda anche, tra gli altri, Duval e Picard, Reference Duval and Picard1986; Alduc-Le Bagousse, Reference Alduc–Le Bagousse2009.

6 Per le categorie di sub-elite e di sub-luxury, all'interno delle quali potrebbe ad esempio essere collocata la maggioranza dei committenti dei sarcofagi di produzione urbana del IV secolo, Brown, Reference Brown2000; Wallace-Hadrill, Reference Wallace-Hadrill2008: 315–55; Brown, Reference Brown2013: 249–50; Perry, Reference Perry and Cooley2016.

7 In particolare, sulle ‘trasformazioni’ delle élites, Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2006.

8 Per un autorevole punto di riferimento metodologico, Panciera et al, Reference Panciera, Eck, Manacorda and Tedeschi2006.

10 La scelta degli esempi presentati in questo contributo è basata strettamente su un riconoscimento di tipo ‘epigrafico’. Non saranno presi in considerazione altri, seppur intriganti, metodi di identificazione, come ad esempio la presenza di particolari iconografici legati ai canoni dell'abbigliamento delle élites nella rappresentazione dei defunti, quali la toga cosiddetta ‘Magistrats-Typus’ prerogativa della classe senatoria (Goette, Reference Goette1990: 62–3, 170–2) o i tipici calzari suddivisi in calceus patricius, senatorius ed equester (Goette, Reference Goette1988). Per questo tipo di approccio si rimanda, per quanto riguarda la classe dei sarcofagi, agli importanti esiti in Wrede, Reference Wrede2001 (e alla successiva critica in Ewald, Reference Ewald2003). Per un esempio in pittura dalla catacomba di Domitilla valorizzato di recente in questo senso, Braconi, Reference Braconi, Bisconti and Ferri2020.

11 Riferimenti principali in PLRE 1, s.v. Sex. Claudius Petronius Probus 5: 736–40; PCBE 2, s.v. Sex(tus) Claudius Petronius Probus 3: 1840–1; Bagnall et al., Reference Bagnall, Cameron, Schwartz and Worp1987: 276–7. Si veda anche, tra gli altri, Jones, Reference Jones1964: 85–9; Settipani, Reference Settipani2000: 373–80; Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2004: 316–19; Cameron, Reference Cameron2012: 136–40; Porena, Reference Porena, Bigi and Tantillo2020; Porena, Reference Porena2023.

12 CIL VI 1756 = CIL VI 31922 = CLE 1347 = ILCV 63 = ICVR II 4219 = AE 1999, 198 = AE 2004, 192 = AE 2008, 91. Si veda anche Schmidt, Reference Schmidt1999; Trout, Reference Trout2001; Cugusi, Reference Cugusi2007: 154, 158, 183; Dresken-Weiland, Reference Dresken-Weiland2007: 293, nota 61; Colafrancesco, Reference Colafrancesco, Font, Martinez and Pallarès2008; Matthews, Reference Matthews, Papoutsakis and Rousseau2009: 134–8; PPRET, n. 64.

13 Vegio (a cura di Della Schiava, Reference Della Schiava2009). Sulla basilica, tra gli altri, McKitterick et al., Reference McKitterick, Osborne, Richardson and Story2013; Brandenburg, Reference Brandenburg2017.

14 Sull'esplorazione del mausoleo nell'ambito della fervente stagione di riscoperta delle Antichità Cristiane promossa dalla ricostruzione di S. Pietro, di recente, Cecalupo, Reference Cecalupo2021: 222–3.

15 Cf. di recente e con ampia bibliografia, PPRET, n. 64. Sul sepolcro, si veda anche, tra gli altri, De Blaauw, Reference De Blaauw1994: 466–7; Liverani, Reference Liverani1999: 147–8; Niquet, Reference Niquet2000: 42–4; Paolucci, Reference Paolucci2008: 245–8; Bartolozzi Casti, Reference Bartolozzi Casti2010–11; Machado, Reference Machado2019: 156–60.

16 Problematica già sollevata dal Silvagni in ICVR II, 4219, ad comm. Sulle fonti dell'Alfarano, tra cui spicca la stessa descrizione del Vegio, cf. Della Schiava, Reference Della Schiava2007; Cecalupo, Reference Cecalupo2021: 221.

17 Vv. 1–2: sublimes quisquis tumuli miraberis arces dices quantus erat qui Probus hic situs est.

18 Alla ricchezza del sepolcro sembra poter fare riferimento anche la notizia del rinvenimento di pretiosa marmora aurum et argentum ac lapides pretiosas in moniliis, riportata da un anonimo pellegrino nel 1450 a commento delle scoperte che in quegli anni si susseguivano nel cantiere della basilica, come ipotizzato da Liverani (Reference Liverani1999: 147–8).

19 Quello del Museo Petriano è lungo 2,37 metri, mentre il Borghese misura 2,52 metri. In nessuno dei due casi, purtroppo, si è conservato il coperchio.

20 Si noti che la stessa scena appare anche sul retro dei sarcofagi ‘a porte di città’ delle cattedrali di Mantova e di Ancona, dimostrandone l'importanza nel quadro dei linguaggi autocelebrativi degli esponenti più in vista delle élites teodosiane ed il legame particolare con questa specifica tipologia di sarcofagi.

21 Come esplicitato dall'epitaffio, Anicia Faltonia Proba (per cui si veda PLRE 1, s.v. Anicia Faltonia Proba: 732–3), che potrebbe esserne stata l'effettiva autrice, fu l'organizzatrice del funerale del marito e, in seguito, fu insieme a lui deposta nel suo stesso sarcofago. Cf. vv. 15–18: Solamen tanti coniux tamen optima luctus hoc Proba sortita est, iungat ut urna pares. Felix, heu nimium felix, dum vita maneret, digno iuncta viro, digna simul tumulo.

22 CIL VI 1752–6 (cf. LSA, nn. 1459–63; PPRET, nn. 65–6). Ipotesi già avanzata dal Bosio (Reference Bosio1632–4: 55).

23 Per i figli di Probus, PLRE 1, ss.vv. Anicius Hermogenianus Olybrius 2, Anicia Proba 1, Anicius Probinus: 639–40, 731, 734–5; PLRE 2, s.v. Fl. Anicius Petronius Probus 11: 913–14; a cui si aggiunge un altro figlio anonimo morto prima del 395, sposato con Furia, PLRE 1, s.v. Furia: 374–5.

24 Lo stesso Maffeo Vegio puntualizza di aver visto diverse altre antiche tombe nei pressi del sepolcro dei Probi. Si veda anche Liverani, Reference Liverani1999: 147–8.

25 ICVR II, 4098 = ED 3 = Carletti, Reference Carletti2008, 250–1, n. 155.

26 ICVR II, 4097 = ED 4(1) = CIL VI 41331a. Sulla clarissima femina Anastasia, che potrebbe essere stata la madre di un altro evergete di alcuni altri lavori a S. Pietro, Gallus Anastasiae natus, PCBE 2, s.v. Anastasia 1: 111. Si veda anche l'omonima inlustris femina moglie del console Marinianus, entrambi evergeti a S. Pietro durante il pontificato di Leone Magno, PLRE 2, ss.vv. Anastasia 1, Marinianus 2: 76, 723–4; PCBE 2, ss.vv. Anastasia 2, Flavius Avitus Marinianus 3: 111, 1400–1. Vedi anche Chausson, Reference Chausson, Carrié and Lizzi2002; Cantino Wataghin, Reference Cantino Wataghin, Bisconti and Ferri2020.

27 P. Ugonio, BAV, cod. Barb. Lat. 1944, f. 317; Bosio, 1632–34: 44–7; Repertorium 1: n. 680, 279–83; CIL VI 32004 = CIL VI 41341b = ILS 1286 = ILCV 90 = ICVR II, 4164. Si veda anche, tra gli altri, Malbon, Reference Malbon1990; di Tanna, Reference di Tanna, Ensoli and La Rocca2000; Cameron, Reference Cameron2002; Vitiello, Reference Vitiello and Deroux2006; Machado, Reference Machado2019: 148–9; Nuzzo, Reference Nuzzo, de Vingo, Marano and Pinar Gil2021: 284–5. Cf. PLRE 1, s.v. Bassus 15: 155.

28 CIL VI 41341a = AE 2006, 176 = AE 2007, 219. Cf. Apollonj Ghetti et al., Reference Apollonj Ghetti, Ferrua, Josi and Kirschbaum1951: 220; Mondin, Reference Mondin, Marrone and Pistellato2007.

29 Dubbi rispetto alla posizione della sua tomba a ridosso dell'altare di S. Pietro, generalmente accettata e di recente ribadita in Nuzzo, Reference Nuzzo, de Vingo, Marano and Pinar Gil2021: 284–5, sono sollevati in Niquet, Reference Niquet2000: 44; PPRET, n. 64. Non si può invece accogliere la proposta di riconoscere un richiamo al suo sepolcro nella vita di papa Sisto III del Liber Pontificalis (L.P. 1: 232), avanzata in Machado, Reference Machado2019: 156. Il passo in questione, riconosciuto come un'interpolazione posteriore del testo originario basata essenzialmente su un passaggio dei Gesta de Xysti purgatione (BHL, 2, n. 7813), si riferisce all'episodio in cui il papa avrebbe offerto un luogo di sepoltura ad un suo oppositore appena morto, anch'esso di nome Bassus, in segno di riconciliazione, ad beatum Petrum apostolum, in cubiculum parentum eius (da intendersi dei parenti del papa). Cf. in sintesi, Enciclopedia dei Papi, s.v. Sisto III, santo.

30 Secondo quanto riportato nell'iscrizione sul suo sarcofago (cf. supra nota 28).

31 Ciò potrebbe spiegare l'apparente incongruenza di trovare riportata, nell'epigrafe del prefetto, la descrizione del suo stesso funerale. Che gli spazi della basilica fossero utilizzati come quinta privilegiata per importanti commemorazioni funebri è certificato dalla ben nota descrizione del banchetto organizzato dal proconsole Pammachius in onore della sua defunta moglie, riportata da Paolino di Nola (Ep. 13, 13, in CSEL 29: 94) e Girolamo (Ep. 66, 5, in CSEL 54: 652–3). Cf. PLRE 1, ss.vv. Pammachius, Paulina 3: 663, 675; PCBE 2, ss.vv. Pammachius, Paulina 1: 1576–81, 1629–30; e, tra gli altri, Degórski, Reference Degórski2018.

32 Si veda di recente, per importanti confronti tipologici, Fiocchi Nicolai e Spera, Reference Fiocchi Nicolai and Spera2021: 37–8.

33 Styger, Reference Styger1935: 31, 151; Ferrua, Reference Ferrua1937: 137; Ferrua, Reference Ferrua1961: 218–26; Pietri, Reference Pietri1976: 522; Bertolino, Reference Bertolino1994: 185–6; Nieddu, Reference Nieddu2009: 253–4. Sul personaggio, PLRE 1, s.v. Viventius: 972; PCBE 2, s.v. Viventius: 2337. Cf. Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2004: 151–7; Castello, Reference Castello2012: 139–58; Olszaniec, Reference Olszaniec2013: 436–7.

34 Alla residenza di Viventius nell'Urbe dovrebbe riferirsi l'iscrizione su un collare di schiavo, da riportare ad dom(i)nu(m) meu(m) Viventium in ar(e)a Callisti (CIL XV 7193; Thompson, Reference Thompson2003: 239, fig. 104). Il riferimento topografico potrebbe alludere al noto cimitero della via Appia oppure al titulus Calisti del Trastevere. Cf. Bertolino, Reference Bertolino1994: 187–90; Hillner, Reference Hillner2001: 214.

35 Sull'episodio e la successiva calunnia di corruzione e favoreggiamento avanzata dai seguaci di Ursino contro lo stesso Viventius riportata nei Gesta inter Liberium et Felicem (CSEL 35, 1: 3), si veda, tra gli altri, Lizzi Testa, Reference Lizzi Testa2004: 151–3.

36 CIL VI 41342 = ICVR V 13355 = AE 2009, 145. Cf. con bibliografia, PPRET, n. 55; PCBE 2, ss.vv. Lucceia, Maximilla, Nunita: 1312, 1461, 1545.

37 Oltre al caso romano del cubicolo più importante della catacomba di Panfilo richiamato come confronto in Nieddu, Reference Nieddu2009: 236, nota 1051, per il (tardo) IV secolo è possibile riferirsi al caso del ‘mausoleo L’ di Marusinac, nel suburbio di Salona, a prescindere dall'inverosimile storicità della figura della fondatrice, la matrona Asclepia, il cui nome è ricordato nella tradizione agiografica locale, e dall'identità stessa del martire. Cf. Chevalier, Reference Chevalier2012: 254–5; Yasin, Reference Yasin2012: 89–103. Per questo ed altri esempi più tardi, tra cui l'eclatante caso epigrafico del vir inlustris Pantagatus di Vaison (CIL XII 1499), Vella, Reference Vella, Pergola and Castiglia2020: 133–4.

38 Tali rapporti sono di fatto certificati dall'amicizia tra la figlia di Viventius, la vergine consacrata a Dio Maximilla e la madre di quest'ultima, che fu sposata ad un diacono, come riporta la loro iscrizione (cf. supra nota 36). Già Charles Pietri si era soffermato, dal V secolo in avanti, sul rapporto tra l'aristocrazia, le vergini consacrate a Dio e, in particolare, i diaconi, il cui ordine fungeva da bacino di selezione per i candidati al soglio pontificio, Pietri, Reference Pietri1981: 432–44; Pietri, Reference Pietri1976: 714–18). Sullo stesso tema, affrontato in relazione alle dinamiche evergetiche alla base della fondazione dei tituli urbani, Hillner, Reference Hillner2006.

39 ED 22–23 = ICVR V 13275. Cf. Trout, Reference Trout2015: 124–5.

40 Bertolino, Reference Bertolino1997. Sull'importanza del culto dei martiri stranieri a Roma e sulla loro importante valenza ‘etnica’, Nieddu, Reference Nieddu, Boesch Gajano and Scorza Barcellona2008b; Spera, Reference Spera, Boesch Gajano, Caliò, Scorza Barcellona and Spera2012: 41.

41 La fortuna del culto di Quirino nell'ambiente di corte in età teodosiana è testimoniata dall'inno VII del Peristephanon di Prudenzio a lui dedicato (Galeani, Reference Galeani2014). Sulla complessa questione della localizzazione del santuario principale del martire (in Savia o a Roma), al tempo della peraltro discussa datazione dell'inno, si veda anche, con ampia bibliografia, Galeani, Reference Galeani2010: 364–70.

42 ED 64 = ICVR V 13276.

43 Si noti che anche nell'iscrizione di Maximilla e Nunita, Viventius è ricordato come già morto, come prova l'utilizzo della formula clarissimae recordationis vir. Il suo decesso è collocabile prima del 384, anno della trentesima Relazione di Simmaco (Rel. 30, Vera, Reference Vera1981: 238–9) in cui è ricordato come clarissimae et inlustris memoriae vir.

44 Cf. supra nota 21. Il ruolo centrale delle mogli nella commemorazione funebre dei mariti si rivela un tratto comune tra gli aristocratici a prescindere dalla loro conversione al cristianesimo, come rivelano i forti parallelismi in questo senso tra Anicia Faltonia Proba e Fabia Aconia Paulina, moglie di Vettius Agorius Praetextatus, desumibili dall'iscrizione posta sulla celebre ara funeraria di quest'ultimo: CIL VI 1779 = ILS 1259 = CLE 111 = AE 1954, 2 = AE 1958, 152 = AE 1994, 107 = AE 2000, 136 = AE 2003, 151 = AE 2008, 150. Si veda anche: PPRET, n. 77.

45 Sulla particolare diffusione dei cubicoli a partire dall'età costantiniana, tra gli altri, Nuzzo, Reference Nuzzo, Brandt and Fiocchi Nicolai2016: 713; Fiocchi Nicolai, Reference Fiocchi Nicolai, Pettegrew, Caraher and Davis2019: 71–2.

46 Repertorium 1: n. 662, 265–6. Iscrizione: CIL VI 41431 = ICVR VII 20373.

47 Repertorium 1: n. 663, 266–7. Iscrizione: CIL VI 41432 = ICVR VII 20422.

48 Repertorium 1: n. 664, 265. Iscrizione: ICVR VII 20359. Se la parentela tra Aurelius e Florentius Domitius Marinianus, comprovata dalla presenza del nome dei genitori Tullianus ed Aristia in entrambi i loro epitaffi, è nota alla critica, è sfuggita invece la loro parentela con Atronius Fidelicus, il quale può essere riferito alla stessa famiglia per via del riconoscimento, compiuto dal Ferrua, del nome completo del padre, Atronius Tullianus Aeusebius, che compare come dedicante nell'epitaffio della madre di quest'ultimo (e cioè la nonna dei fanciulli), l’honesta femina Iulia Irene Arista deposta in un sarcofago proveniente dal complesso di S. Agnese sulla via Nomentana: CIL VI 29758 = ILCV 4932 = ICVR VIII 21125.A. Si noti la trasmissione del raro gentilizio Atronius dal padre al figlio Atronius Fidelicus e di quello di Aristia, usato evidentemente come cognomen, dalla nonna paterna alla madre dei fanciulli.

49 Repertorium 1: n. 665, 267.

50 Solo quelli di Aurelius e di Florentius Domitius Marinianus, affiancati, si conservano tuttora in situ nella nicchia di sinistra rispetto all'ingresso, mentre gli altri furono movimentati in antico. Per una ricostruzione delle varie fasi, Fornari, Reference Fornari1929: 217–21.

51 Repertorium 1: n. 564, 233–4; ICVR V 14274.

52 Repertorium 1: n 557, 230; ICVR V 14155.

53 Ciò si deve alla presenza del nome dei genitori, Flavius Iulianus e Insteia Cilonis, nell'epitaffio di Flavius Insteius Cilo, e dalla ricorrenza dei loro gentilizi e cognomina, svincolati dalle regole dell'onomastica classica, nel nome di tutti e tre i fanciulli. Essi possono forse essere ricondotti, per via matrilineare, all'ambito della gens Insteia, di cui sono noti diversi importanti esponenti tra III e IV secolo, tra cui Attius Insteius Tertullus, praefectus Urbi negli anni 307–308 (cf. PLRE 1, s.v. Attius Insteius Tertullus 6: 883).

54 A questo proposito, sembra opportuno mettere in dubbio la pertinenza al cubicolo dell'epigrafe del loculo della clarissima puella Annia Tertulla (ICVR V 14016), trovata erratica negli ambienti del piano inferiore della catacomba sottostanti al cubicolo e ad esso comunemente associata (cf. Josi, Reference Josi1936: n. 16, 19). Il loculo di Annia Tertulla, che deve in effetti essere ricondotto al primo piano, poteva però trovare posto anche al di fuori del cubicolo in questione, ad esempio nella galleria di congiunzione tra esso e la Spelunca Magna (A1) dove è stata documentata in situ, anch'essa a chiusura di un loculo, l'epigrafe della clarissima puella Volumnia Vitrasia Faustina (ICVR V 14728).

55 Sulla regione, databile tra 296 e 310 per la sepoltura dei due papi eponimi, Reekmans, Reference Reekmans1988.

56 ILCV 160 = ICVR IV 9636; cf. de Rossi, Reference de Rossi1864–77, 3: 101.

57 ICVR VIII 20933; cf. Armellini, Reference Armellini1880: 222–3; Nuzzo, Reference Nuzzo, Brandt and Fiocchi Nicolai2016: 715, nota 28.

58 ICVR IV 10183; cf. tra gli altri, Carletti, Reference Carletti2008: n. 35, 157–8, e più di recente, Mossong, Reference Mossong2022, n. 7, 232–3.

59 ICVR III 8669; cf. Proverbio, Reference Proverbio, Coscarella and De Sanctis2012.

60 CIL VI 32082b = ILCV 294A = ICVR VI 16012. Su questa iconografia, che interessa anche la fronte del sarcofago di uno dei giovani equites sepolti a Novaziano, Koch, Reference Koch1993: 89–90; Huskinson, Reference Huskinson1996: 60–1.

61 Cf. Scheda de Rossi n. 1015 (Archivio PIAC); si veda anche CIL VI 32082b, ad comm; ILCV 294A, ad comm; ICVR VI 16012, ad comm.

62 Sulla tipologia Nuzzo, Reference Nuzzo2000: 163–6; Vella, Reference Vella, Pergola and Castiglia2020: 125.

63 Sul complesso tema della compravendita dei sepolcri, ben attestato nelle epigrafi cristiane di Roma, Guyon, Reference Guyon1974; più di recente, Benoci, Reference Benoci, Dell'Osso and Pergola2021.

64 ICVR IX, 25966; cf. Styger, Reference Styger1928: 151; Reference Styger1931: 56–60; Reference Styger1933: 133, tav. 25.

65 v. 3: equestris turmas quondam qui condecoravi. Segue un'espressione dal carattere augurale sul concetto di salvezza dell'anima del defunto, di cui si ricorda la morte avvenuta a tredici anni preceduta dal battesimo (vv. 6–7: hic corpus iaceo caeli sed in aethere vivo, ante pedes domini praecellens munere Christi).

66 Galleria C1 nella pianta schematica di ICVR IX. Per la regione dell'Arenario, Tolotti, Reference Tolotti1970: 63–83, 181–9.

67 Rispettivamente: CIL VI 31749 = ILCV 153 = ICVR IX 25437 (cf. de Rossi, Reference de Rossi1892: 91); ICVR IV 10879 (cf. de Rossi, Reference de Rossi1864–77, 2: 300; Mazzoleni, Reference Mazzoleni, Clemens, Merten and Schäfer2015: 167).

68 CIL VI 31731 = ILCV 157 = ICVR VIII 21703. Cf. PLRE 1, s.v. Caelius Felicissimus 2: 331.

69 ICVR VIII 21702.a. A favore dell'ipotesi di una parentela tra i due si pongono l'identità del gentilizio e la presenza del nome del padre, Felicissimus, come dedicante (contra, lo scioglimento come ‘[in]felicissimus pater’, del resto possibile vista la frammentarietà dell'iscrizione): cf. ICVR VIII 21703, ad comm. La lastra, opistografa (ICVR VIII, 21702.b), fu riutilizzata per la chiusura di un loculo posto in fondo alla stessa galleria B5.

70 In particolare, sulle importanti disuguaglianze sociali, politiche ed economiche interne all'aristocrazia romana, Machado, Reference Machado, Lipps, Machado and Rummel2013.

71 Si vedano ad esempio le interpretazioni in questo senso del de Rossi (Reference de Rossi1864–77, 3: 101–2, 111–12, 139). D'altra parte, è bene rimarcare i limiti di un'interpretazione in chiave sociologica delle diverse tipologie sepolcrali e dell'utilizzo anche intensivo degli spazi funerari nell'ambito delle catacombe romane, così come già delineato dal Reekmans (Reference Reekmans, Duval and Picard1986: 245–9; più di recente, Nuzzo Reference Nuzzo2000: 199–204).

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Figure 0

Fig. 1. Tiberio Alfarano, pianta dell'antica basilica di S. Pietro: la freccia indica il mausoleo di Sextus Claudius Petronius Probus (rielaborazione da http://saintpetersbasilica.org).

Figure 1

Fig. 2. Sarcofago tradizionalmente attribuito a Sextus Claudius Petronius Probus, ritrovato al centro del suo mausoleo presso la basilica di S. Pietro: fronte (A), lati (B) e retro (C) (da Repertorium 1).

Figure 2

Fig. 3. Sarcofago ritrovato durante la distruzione del mausoleo di Sextus Claudius Petronius Probus presso la basilica di S. Pietro: fronte (A), lati (B) e retro (C) (da Metzger, 1985; Repertorium 1).

Figure 3

Fig. 4. Fronte del sarcofago di Iunius Bassus, praefectus Urbi morto in carica nel 359 (da Repertorium 1).

Figure 4

Fig. 5. Pianta della basilica Apostolorum sulla via Appia: la freccia indica il mausoleo attribuito a Viventius, praefectus Urbi nel 365–366 circa (rielaborazione da Nieddu, 2009).

Figure 5

Fig. 6. Tomba bisoma attribuita a Viventius, praefectus Urbi nel 365–366 circa: sezione ovest–est (A), schema assonometrico (B) (rielaborazioni da Nieddu, 2009).

Figure 6

Fig. 7. Sarcofago della virgo Dei Maximilla e di sua madre Nunita, sepolte nel 389 all'interno del mausoleo di Viventius (da Nieddu, 2009).

Figure 7

Fig. 8. Cubicolo Ma della catacomba di Novaziano (planimetria ©Archivio PCAS).

Figure 8

Fig. 9. Sarcofagi dei fratelli Aurelius (A), Florentius Domitius Marinianus (B) e Atronius Fidelicus (C), equites Romani (da Repertorium 1).

Figure 9

Fig. 10. Catacomba di Pretestato, settore occidentale della Spelunca Magna: la freccia indica il cubicolo Ada (stralcio planimetrico da Spera, 2004).

Figure 10

Fig. 11. Sarcofagi del clarissimus puer Flavius Insteius Cilo (A) e della clarissima puella Curtia Catiana, (B) (da Repertorium 1); epigrafe di Κλαυδιανὴ (C) (da Proverbio, 2013).

Figure 11

Fig. 12. Arcosolio di proprietà di un anonimo vir perfectissimus nella catacomba dei Ss. Marcellino e Pietro, particolare della pittura sull'estradosso dell'arcone (da Deckers, Seeliger e Mietke, 1987).

Figure 12

Fig. 13. Tomba pavimentale del giovane di rango equestre Restutus, nella catacomba di Priscilla (©Archivio Fotografico PCAS).

Figure 13

Fig. 14. Loculo della clarissima femina Pontia Privata, nella catacomba di Priscilla (A); loculo della clarissima femina Cassia Faretria, nella catacomba di Callisto (B); loculo del vir egregius Caelius Felicissimus, nel cimitero Maggiore (C) (©Archivio Fotografico PCAS).